Per gli americani Anna Magnani è stata “qualcosa di diverso”, cioè finalmente un’attrice e non soltanto una delle solite belle ragazze dalle forme abbondanti e dal cervello vuoto.
Roma, dicembre
Da Hollywood dicevano agli italiani: “Non ci mandate belle ragazze: ne abbiamo a bizzeffe. Mandateci something different, qualcosa di diverso”.
Questo something different è stato finalmente Anna Magnani. E ora, dopo la prima a New York del suo film americano La rosa tatuata, si parla di lei come della probabile vincitrice dell’Oscar per la migliore attrice, che sarà assegnato a marzo.
Le sue concorrenti più quotate sono, fino a questo momento, Susan Hayward, Katherine Hepburn e Bette Davis; ma se anche, per ipotesi, essa non dovesse vincere questo premio, intorno al quale troppi interessi si agitano, la sua interpretazione rimarrà, per gli stessi americani, definita con l’aggettivo più spesso ripetuto dai critici: “sbalorditiva“.
Ricordo quando la Magnani partì nell’ottobre dell’anno scorso. Lasciò Roma di mattina presto, alla chetichella, come per evitare che la sua città si accorgesse che se ne andava o come per nasconderle un tradimento.
Dalla piccola terrazza della sua casa, sul tetto di Palazzo Altieri, essa indugiava a guardare la sommità del Collegio Romano, che è a due passi, e, lontani, la cupola di San Pietro e il Gianicolo.
Anna guardava a lungo e poi tornava a guardare. Sembrava, ogni volta, aver dimenticato qualche cosa. E ora sollevava fra le braccia Teresina, la sua tartaruga centenaria; ora carezzava l’inquieta Micia, l’affezionata cagna, nera come il carbone.
Solo Lilly, il bassotto, sembrava divertirsi assai nella confusione.
“Lilly è un incosciente”, brontolava la Magnani.
Quest’anno l’attrice passerà il Natale a Roma, ma quel giorno pensava che l’avrebbe passato lontano, e si sentiva già piena di nostalgia, nostalgia dei tetti e delle campane, consolandosi un po’ con l’idea che ogni tanto è bene lasciare le cose che si amano perché, ritrovandole, si amano di più.
Di recente, quando con una pioggia di telefonate transoceaniche, l’hanno insistentemente invitata a tornare in America per la “prima” del suo film e per partecipare alla campagna pubblicitaria in suo favore, ha risposto di no.
Non ha avuto il coraggio di lasciare Roma di nuovo e proprio alla vigilia di Natale, desiderosa soprattutto di rimanere accanto al figlio tredicenne Luca che solo poche settimane fa ha subito un lungo e doloroso intervento chirurgico ai piedi sformati dalla poliomielite.
Nulla ha valore per lei rispetto al dolore di questo figlio e purché egli fosse sano vorrebbe non essere quella che è, rinuncerebbe volentieri a tutta la sua gloria di attrice.
(In America tornerà di certo, ma non ora: tornerà quando potrà portarvi Luca per farlo curare dagli specialisti della poliomielite.)
La storia del modo come la Magnani si decise a varcare l’Oceano per interpretare La rosa tatuata è ancora inedita.
Cominciò nel 1950, quando Tennessee Williams, il famoso commediografo americano, fece un viaggio in Sicilia.
I suoi personaggi sono coloriti, caldi, ribollenti di passioni; i suoi ambienti preferiti sono quelli delle terre del cotone lungo il corso del Mississippi dove egli stesso nacque una quarantina d’anni fa.
La Sicilia lo impressionò e gli dette l’idea di Serafina, una ragazza siciliana emigrata nella regione di New Orleans e innamorata di un camionista che reca una rosa tatuata sul petto.
Ecco, alla fine, un film per me
Egli scrisse La rosa tatuata tutta, o quasi, a Roma, vedendo subito in Anna Magnani la sua interprete ideale, e anzi voleva che andasse a Broadway a recitare la commedia in inglese.
Essa rispose che non se la sentiva.
(“Un’attrice è bella nella sua lingua”, ha detto la Magnani. “Non andrò mai sul palcoscenico a recitare in una lingua diversa dalla mia. Se sentissi, per esempio, Edwige Feuillère recitare in italiano non mi sembrerebbe più lei, sarebbe come travestita. La lingua è la bandiera dell’attore. E una bandiera non si traveste.” Ma poi ha aggiunto: “Però, chissà! Può anche darsi che un giorno o l’altro mi ci provi. Nessuno è mai veramente sicuro di nulla. Se mi deciderò a farlo, sarà perché vorrò provare una grande emozione”.)
A Broadway, La rosa tatuata fu recitata da Maureen Templeton e messa in scena da Daniel Mann, lo stesso che ha poi diretto il film.
Ma della trasposizione cinematografica della commedia s’incominciò a parlare tre anni or sono e non prese consistenza che quando il produttore Hal Wallis ne acquistò i diritti.
Insostituibile, per Tennessee Williams, la Magnani, per la parte del suo antagonista si fece dapprima il nome di Humphrey Bogart e solo in seguito quello dell’interprete attuale, Burt Lancaster.
Per la verità, l’attrice non aveva ancora detto nè si nè no.
Le insistenze di Tennessee Williams la lusingavano molto, il personaggio di Serafina la seduceva e l’intimoriva.
Provava nei suoi confronti lo stesso orgasmo che provò quando Roberto Rossellini le propose La voce umana di Cocteau, considerato da lei il film più difficile della sua lunga carriera.
Serafina apparteneva al tipo dei personaggi che essa ama, una donna che si può incontrare nella vita; e, soprattutto, era il suo primo personaggio di donna totalmente innamorata, in senso spirituale e fisico.
Per questo nel suo intimo, essa diceva “si, voglio andare; dopo tanto tempo ecco finalmente un film per me”.
Se La rosa tatuata si fosse dovuta girare in Italia, come ad un certo momento sembrò possibile per via degli ostacoli che si frapponevano in America, essa non avrebbe tergiversato un minuto.
Ma doveva andare a Hollywood e Hollywood le faceva un po’ paura.
“Questa Hollywood esaltata e vilipesa” diceva. “Come mi ci troverò? In un Paese non mio, pieno di qualità ma che parla un’altra lingua ed ha altra sensibilità, altre abitudini, altri sistemi!”
Nel 1953, come si ricorderà, la Magnani andò a New York. Ebbe grandi feste.
Da anni un’attrice straniera non raccoglieva tanta simpatia e tanti consensi, specialmente per il ricordo di Roma città aperta.
I giornalisti le fecero mille domande, e alcune, sciocche o banali, ebbero immediate risposte di vigoroso sapore romanesco.
Uno chiese se le sarebbe piaciuto di interpretare un film a Hollywood. Essa rispose di no, seccamente. A meno che, aggiunse, non si trattasse de La rosa tatuata.
Quando ripartì da New York il film era ancora un progetto lontano dalla realizzazione. Fu nel giugno dell’anno scorso che Tennessee Williams venne a leggerle in inglese il “trattamento” cinematografico, anche per farle conoscere le modificazioni apportate ai personaggi e alle situazioni della commedia.
Un interprete agevolava la comprensione, c’erano altri ascoltatori. La lettura cominciò alle dieci del mattino.
All’una tutti pensavano che si sarebbe avuta una pausa per andare a colazione e aspettavano il cenno della Magnani.
Il cenno tuttavia non venne: l’attrice infatti era tanto affascinata che non si accorse nemmeno del muto desiderio dei suoi ospiti.
La lettura terminò alle cinque del pomeriggio. Uscendo, l’interprete brontolava: “Almeno ci avesse offerto un caffè”. Ma la decisione di partire per Hollywood Anna Magnani la prese veramente e solo quel giorno.
Il film le pareva, ed era, scritto per lei, dalla prima all’ultima riga.
La sua puntualità e la sua calma sorpresero i cronisti
Hal Wallis venne a conoscere la sua interprete l’estate seguente. Le disse: “Cercheremo di non farla arrivare in teatro troppo presto al mattino”.
Qualcuno doveva averlo prevenuto che questa era una buona politica con la Magnani. L’attrice replicò: “Se dovessi girare una scena madre la mattina alle otto non saprei farla. L’arte non è come un mestiere manuale che si può esercitare a ora fissa”.
Allora la pensava certo così. Ma, al momento della partenza da Roma, confessò: “E’ chiaro che non si va in casa d’altri a far ciò che si vuole. Accettando di andare a Hollywood ho anche accettato, implicitamente, di seguire i suoi sistemi. Cercherò di abituarmi.
Qui in Italia sono considerata un’attrice difficile, piena di pretese, indisciplinata e invadente.
Io non chiedo di meglio che di starmene buona e di non aprire bocca e, se questo non succede, la colpa non è mia.
Qualche volta, è avvenuto ciò che mi si rimprovera perché mi sono trovata con gente che non aveva nè cultura, nè preparazione, nè forza morale e artistica per imporsi su di me, e mi sentivo più grossa di loro. Con Visconti e con Renoir non ho mai aperto bocca”.
Anna Magnani mantenne la promessa. Per diciannove settimane, tanto è durata la lavorazione de La rosa tatuata, essa arrivò al lavoro puntualmente alle otto e i cronisti che si aspettavano un’erinni furiosa non poterono registrare che la sua buona volontà di adeguarsi alle abitudini e alle esigenze dell’ambiente.
La ricompensa l’ha avuta nelle lodi che le sono state tributate in America dopo la presentazione del film.
Ma, non appena sono arrivate a Roma le prime notizie del successo e il suo telefono ha cominciato a essere assediato da amici e giornalisti, essa è fuggita nella sua villetta sul mare, a San Felice Circeo.
Come tutti quelli che hanno la passione per gli animali, Anna Magnani ama la solitudine.
In fondo, sebbene appaia esattamente il contrario, e l’abbiano anche definita “la tigre del Tevere”, Anna Magnani è una timida.
D. Meccoli