Dal sottoproletariato di Accattone, Pasolini passa a interessarsi della gente dei «quartieroni» romani col film Mamma Roma.
Roma, marzo
Dopo due anni che diceva sempre di no la Magnani ha detto ancora una volta di sì.
Negli ultimi tempi il cinema l’aveva delusa, ma ora la seduce di nuovo offrendole un personaggio costruito sulla sua faccia e sulla sua misura. Siccome non è tipo da accettare qualcosa con riserva, ne parla con zelo da neocovertita, lo sguardo un po’ perentorio in modo che non cisano dubbi sull’autenticità della dichiarazione.
«Io sono eccitatissima», dice, «all’idea di questo personaggio».
Ne discorriamo per un po’ a casa sua, anche se a lei, precisa con la consueta franchezza, piacerebbe di più parlare d’altro, magari di Fanfani.
Ha la faccia bianca e tutto il resto coperto di nero.
Dice «sediamoci qui, speriamo di stare tranquilli», ma scompare ogni cinque minuti, rientra con un enorme siamese in braccio, se ne va di nuovo gridando qualcosa alla cameriera, alla segretaria, alla cagnetta Lillina, quando torna si dà da fare con i bicchieri, la vodka, le sigarette, dice «ecco, lo sapevo che non c’era il ghiaccio», e quando finalmente ha trovato anche il ghiaccio va ad accogliere Pasolini che invitato a pranzo le chiede timidamente scusa d’aver portato con sé una mezza dozzina di conoscenti comuni.
«Lei deve sapere», dice in mezzo a questo via vai, la sigaretta all’angolo della bocca senza rossetto, «che con me il pubblico è esigente. Se sbaglio, io non posso rifarmi facilmente con un altro film, tirando fuori delle bellezze naturali. Per questo sono prudente, e magari lascio passare due anni senza accettare una parte. Ogni volta, naturalmente, salta fuori la storia della Magnani con il suo carattere impossibile».
In questi due anni i produttori e i registi, qui e in America, le avranno messo sul piatto una decina di proposte. Garanzie, cifre da stabilire a suo criterio, visto d’approvazione sul nome degli altri attori. Tutto servito con il riguardo che occorre quando c’è di mezzo un’attrice consacrata da un Oscar e segnata da una terribile reputazione.
Lei apriva la porta di casa, ascoltava fino in fondo con paziente cortesia e poi rispondeva con un rifiuto.
Ogni tanto, sui giornali, si leggeva che la Magnani aveva deciso di dimenticare il cinematografo o che pensava al teatro. Lei lasciava dire, chiusa nell’attico silenzioso sopra i tetti di palazzo Altieri, come se stesse facendo gli esercizi spirituali.
Ora il privilegio di averla attirata di nuovo davanti a una macchina da presa spetta ad Alfredo Bini, che è l’ultimo arrivato fra i produttori italiani, e a un regista come Pasolini, che solo da pochi mesi ha aggiunto alle sue qualifiche letterarie un titolo cinematografico.
Fra pochi giorni Anna Magnani si metterà gli straccetti presuntuosi di una prostituta in ritiro che passa, per amore di suo figlio a un più legale commercio di frutta e verdura. Parlata romanesca, ambiente sottoproletario, sfondo da periferia tipo Ina-Case.
Il personaggio si chiama, con un soprannome probabilmente autentico, Mamma Roma. «Una poveraccia piena di buone intenzioni che cerca di costruire una sdrada al figlio, con timore e speranza», spiega Anna Magnani. «Ma sbaglia, per ignoranza e per colpa dell’ambiente».
Pasolini interviene a definire meglio le cose: «Mamma Roma vuol rifarsi una vita con questo ragazzo che ha diciassette anni. Ma che ne sa lei della vita? Si aggrappa a schemi piccolo-borghesi, perchè anche lei guarda la televisione. Rifà tutto nel caos, e la società annienterà suo figlio».
Quando si tratta di sistemare un figliolo, anche una donna come Mamma Roma va naturalmente da un prete. «Io potrei tentare», dice il prete, «di mandarlo in qualche cantiere come manovale». «Ma che, scherza, padre?», protesta lei. «Allora io ho messo ar mondo un fijo pe’ mandallo a fa’ er manovale? No, no, io vojo pe’ lui un lavoro decente, un lavoro che je possa da’ n’avvenire».
Siccome conosce bene i personaggi veri dai quali deriva quelli letterari, Pasolini aveva immaginato, per i figlio della Roma, un destino conseguente. Il ragazzo scivola in un giro di ladruncoli senza una lira e per una radiolina a pile finisce in prigione Ma il tragico fatto di cronaca avvenuto a roma nei giorni scorsi, in piazza Navona, costringerà forse lo scrittore a rivedere questo punto della sceneggiatura.
Siamo in un mondo appena un po’ più inurbato di quello descritto in Accattone.
«Non è la vera Roma delle borgate», spiega Pasolini, «ma piuttosto quella dei quartieroni della Tiburtina, o dietro al Quadraro. Mamma Roma lascia la vita di prima per mettere su un banco nel mercato di Cecafumo».
La storia cominciò a venir fuori l’anno scorso, un giorno che Pasolini girava una scena del suo primo film. Ne discusse genericamente con il suo produttore, poi ne accennò anche ad Anna Magnani, parlandole di un personaggio che avrebbe potuto interpretare solo lei. Caso forse unico, il film venne poi scritto senza che ci fosse un vero soggetto e senza quel passaggio intermedio che si chiama trattamento.
Un giorno dell’autunno scorso lo scrittore andò a nascondersi al Circeo e in poche settimane buttò giù il copione definitivo come se fosse stato un romanzo, solo dividendo il testo in due colonne, da una parte la descrizione scenica e dall’altra il dialogo.
In duecento e dieci pagine, il film è ora raccontato come un libro, tant’è vero che un editore vuole stamparlo così com’è.
Sfogliamo a caso il grosso fascicolo e leggiamo: «Rapida dissolvenza – Sempre più sbronzi e sbracati, papponi e zoccole, nella sacrilega mescolanza coi parenti burini della sposa».
«Scale Casal Bertone. Interno, giorno. – Infinite, mortificate scale con mille porticine ai pianerottoli».
Che sequenze e battute siano state preparate pensando a quest’attrice fin troppo caratterizzata lo si capisce alle prime pagine.
Al mercato di Cecafumo, «Mamma Roma è dietro al suo banco di frutta, diventata idolo, un idolo nero e scarmigliato, con in faccia dipinta la soddisfazione».
Solo un mese fa Anna Magnani ha letto le duecento cartelle scritte a macchina. Poi ha chiamato Bini. «Va bene tutto. Per le condizioni vedete voi».
Ora spiega le ragioni della rapida decisione. «Lei ha visto Accattone? Be’, io trovo che se uno, al primo film della sua vita, riesce a scrivere in quel modo con la macchina da presa, come regista dà tutte le garanzie».
Da un angolo, Pasolini ricambia subito il complimento: «Anche questo sarà un film recitato quasi completamente da interpreti occasionali. Mamma Roma, però, sarebbe stato impossibile scoprirla per strada. Non poteva neanche essere un’attrice di media forza. Fin dall’inizio, quindi, non ho pensato che ad Anna. Nel cinema di tutto il mondo, secondo me, ci sono sei o sette attori veramente grandi, non di più. Una è lei».
Così, dopo aver trovato in America un commediografo come Tennessee Williams che scrive drammi solo immaginandola come interprete ideale, ora Anna Magnani ha trovato in Italia uno scrittore che ha sceneggiato tutto un film avendo in mente la sua faccia e il suo temperamento.
«In fondo», dice, «questo dimostra che a forza di aspettare viene l’occasione buona».
Un’altra occasione buona le era capitata l’anno scorso, quando Giorgio Strehler era venuto a trovarla con un progetto che avrebbe inorgoglito qualsiasi attrice. Aveva sentito dire che la Magnani pensava di tornare al teatro e lui era lì pronto, con Madre Coraggio di Brecht.
«Senti, Anna», le disse, «sono dieci anni che al Piccolo teniamo questo lavoro nel cassetto, ma è un lavoro che in Italia può essere messo in scena solo se ci sei tu. Finora non hai avuto tempo, scappavi in America, avevi i film da fare a Roma, e una stagione teatrale è lunga. Adesso però sei libera, hai nostalgia del teatro e io non voglio che ti passi».
Sembrava tutto deciso. Invece la Magnani ha dovuto rinunciare pur avendo davanti tutto il tempo che occorreva. «Si sa, com’è fatto Strehler. Parte di colpo, sembra un razzo, poi si perde dietro altre cose e va altrove. Così, addio anche a Madre Coraggio».
Si capisce che per lei tornare sul palcoscenico sarebbe una svolta importante. Certamente ci pensa da molto tempo.
«Ci sono sempre nuove tentazioni», dice. «Quel dramma di Brecht, per esempio, mi hanno proposto di recitarlo anche a Broadway. Ma sinceramaente, potevo accettare? L’inglese non è la mia lingua. E’ la sola ragione per cui ho sempre detto di no anche a Tennessee, che pure è Tennessee e ancora oggi non scrive un nuovo lavoro senza tornarmi davanti con la solita richiesta. Poco tempo fa mi hanno proposto anche di fare Fedra a Parigi. Nonsarebbe stata una pazzia? Figuriamoci: la Magnani che recita Racine in francese. Invece mi attira sul serio un’altra idea: vorrei portare la Medea di Anouilh in Italia. L’anno prossimo? Chissà, tutti i miei progetti per i futuro diventano sempre così vaghi, da un giorno all’altro».
Sono passati nove anni dall’ultima volta che comparve in teatro, ma con un spettacolo di rivista. «Lo feci per rabbia, quella volta. Mi avevano appena proposto un film tratto da una canzonetta. Dicessi io la cifra. Come se non bastasse, avrei dovuto recitare in bolognese. Allora mi divertiva perfino l’idea di fare quella rivista. Del resto, io adoro il comico».
Elsa Morante, che finora è rimasta seduta vicino a Pasolini, tutta avvolta in una pelliccia bionda, fumando e tacendo, l’interrompe sorpresa: «Ma se sei un’attrice tragica. Tu devi fare cose serie, mia cara, ruoli drammatici».
«O Madonna, e perchè?» sbotta la Magnani dilatando gli occhi con un’aria divertita. «Prendi Mamma Roma: è un personaggio anche un po’ grottesco. La storia è piena di spunti comici, addirittura. Io ridivento ragazzina, non so più che fare, per quel figlio. Gli insegno perfino a ballare, e siccome non so niente dei balli d’oggi gli insegno il tango, il tango alla Rudi, capisci?».
Di colpo, dal suo viso pallido e drammatico come una maschera sparisce tutta la malinconia. La bocca si apre in una risata improvvisa e violenta.
«A Pier Pa’, mi devi credere: se mi vien la ruzza giusta facciamo una scena grande, con quel tango».
N. Minuzzo
(dall’Archivio Pier Paolo Pasolini – Cineteca di Bologna)
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