Per il film “Nella città l’inferno”, che si svolge in un reclusorio femminile, il regista non voleva attrici professioniste. Ha finito per servirsi delle due donne più illustri del cinema italiano: Anna Magnani e Giulietta Masina
Da circa un mese Renato Castellani, Anna Magnani e Giulietta Masina stanno chiusi dentro una cella. Vi entrano la mattina e ne escono la sera tardi.
La cella dà sul corridoio di un carcere che non ha nulla da invidiare ad un carcere vero. E’ stato ricostruito in un teatro di posa, ma le mura sono di mattoni veri, i cancelli e le inferriate di ferro battuto.
Attraverso gli spioncini delle celle s’intravedono pagliericci, brandini sfatte, armadietti; agli angoli dei corridoi sono appesi santini e madonne, illuminati da piccoli lumi. Il colore delle pareti è grigio, la luce scarsa, l’atmosfera deprimente.
Nel momento in cui si gira, la massiccia porta della cella numero 21 viene chiusa a chiave, dal di fuori. Nel silenzio assoluto arriviamo nel corridoio, smorzate dallo spessore della porta, le battute del dialogo.
E’ un dialogo che si svolge quasi sempre di notte e occupa tre quarti del film.
Egle, che nella vita fa la contrabbandiera, ha da tempo scambiato la notte con il giorno; Lina, che è capitata in prigione innocente, è tenuta sveglia dallo stato d’incubo in cui l’ha gettata la sua avventura. Così avviene l’incontro fra le due protagoniste del film Nella città l’inferno. Un film che ha per interpreti due stars: Egle è la Magnani, Lina la Masina, e nel quale lavorano quasi soltanto donne.
Inizialmente Castellani pensava d’impiegare, secondo la sua abitudine, degli attori non professionisti; ma poi fu scelta la Masina, e per bilanciare la sua presenza nel film non c’era che un nome, quello di Anna Magnani.
L’attrice ha accettato volentieri l’offerta, anche se da molti anni non lavora in Italia. Da quando andò a Hollywood, questo è in quattro anni il suo secondo film italiano. In America, la Magnani ha trovato tutto ciò di cui un’attrice del suo temperamenteo ha bisogno per sentirsi a proprio agio.
Un’ammirazione sincera e illimitata. Dei ruoli adatti e la più grande libertà artistica: cioè la possibilità di inventare i personaggi secondo il proprio estro. Infine molto rispetto, per il suo carattere in generale, e per le sue piccole manie.
Un’attrice è fatta anche di queste cose. «Anzi, essa dice, un attore, se è un vero artista, è un essere fragilissimo. Basta che io veda uno che mi guardi storto perchè non possa più lavorare».
Perciò, da qualche anno, pfererisce passare le sue vacanze a Roma e al Circeo, e lavorare in America. «In Italia, dice, m’irrita il fatto che mi considerano una specie di mattatrice, sono pronti solo a criticarmi, e mi propongono in genere dei brutti film».
Ma al nome della Masina e di Castellani, le sue diffidenze sono subito cadute. Erano diversi anni che lei e Castellani si dicevano: «Mi piacerebbe tanto girare un film insieme con te».
Ora l’occasione è venuta; e le cose, per la verità, non sono andate tutte lisce.
Durante i primi dieci giorni di lavorazione, i teatri di posa del Palatino sono stati off limits per i giornalisti. Sessanta inviti, già pronti per essere spediti ad altrettanti critici, italiani e stranieri, sono stati cestinati all’ultimo momento.
Renato Castellani è uno dei nostri migliori registi, ma è anche uno dei più pignoli. Tempo fa si è costruito una villa sui Colli Albani e si è occupato minuziosamente di tutto: perfino di scegliere il colore della vernice con cui filettare le sedie di cucina.
Quando lavora ha un metodo proprio. Prima fa lui la parte e poi la fa ripetere agli interpreti numerosissime volte. Il suo ideale è che gli attori finiscano con l’assomigliare a lui fisicamente.
Con i non professionisti il metodo funziona, ma con i veri attori sono guai. La Magnani poi si trova esattamente agli antipodi di questa posizione. Attrice istintiva, ha bisogno di lavorare di slancio, sfruttando le proprie emozioni e di dare un apporto personale al personaggio.
Lo scontro perciò era inevitabile. Come era inevitabile, fra due persone che si stimano, la riconciliazione. L’undicesimo giorno è tornato il sereno.
I personaggi che la Magnani e la Masina interpretano nel film sono esattamente l’uno il rovescio dell’altro, e l’originalità della storia sta nel fatto che alla fine esse si cambiano i ruoli.
La Masina entra nel carcere, oltre che innocente, illimitatamente ingenua; ne esce scaltrita, corrotta, una delinquente in potenza.
La Magnani, autrice di questa trasformazione, è una donna amorale, una habitué delle prigioni. Prima educa al vizio la sua disarmata preda, poi, quando assiste al reingresso trionfale di Lina nel carcere, capisce il male che ha fatto. Anzi, per la prima volta prende coscienza della differenza fra il bene e il male. Vorrebbe riparare, si scaglia sulla sciagurata, la copre d’insulti, ma ormai è tardi.
Conclusione: l’ingenua si danna, e per la traviata comincia una nuova vita.
Prepotente, aggressiva, amorale, cattiva, ma così ricca di energia che alla fine può volgersi al meglio: queste le caratteristiche di Egle. Un personaggio che alla Magnani piace. Non perchè le somigli in qualcosa («E’ una strana idea della gente, dice, che io preferisca i personaggi che mi somigliano. Quando mai ne ho interpretati due uguali?»); ma perchè è nuovo, ricco di contrasti e di umanità.
Le è piaciuto tanto che ha fatto uno strappo ad una consuetudine della sua vita, diventata regolare. Ha accettato di lavorare d’estate. Una sola volta l’ha già fatto in passato, quando intepretò l’On. Angelina; altrimenti, tutte le sue estati essa le ha sempre dedicate al riposo e a suo figlio Luca.
Cominciato alla fine di giugno, il film terminerà a settembre.
Ogni sera, per accorciare il tempo sottratto a Luca, la Magnani si strucca in un baleno e poi si butta a corsa pazza verso il Circeo. Il figlio l’aspetta nella vitta isolata e fiorita.
Quasi ogni giorno l’attrice gli fa una sorpresa. Sabato scorso gli portò una torta enorme, d’un metro di diametro. L’hanno mangiata, il giorno dopo, lei, Luca, e Tennessee Williams.
Di passaggio per Roma, come ogni anno, il commediografo americano è stato ospite della Magnani, e insieme hanno cominciato a discutere il copione di quello che sarà il prossimo film americano della nostra attrice: Orpheus descending, tratto dalla commedia che Williams ha scritto apposta per lei.
E’ un’altra storia del Sud, passionale favoloso e isterico, di Tennessee Williams; e la protagonista è un’altra adonna passionale, d’origine italiana, avvilita dalla vita e ansiosa di vivere. Moglie di un uomo malato, incontra un vagabondo e se ne innamora. Invano lo supplica di proseguire il suo cammino; come l’Orfeo del mito egli si volta, e resta.
Già rappresentato con successo a Broadway, il dramma sarà portato sullo schermo da Sidney Lumet; Orfeo sarà Anthony Franciosa (in seguito sostituito da Marlon Brando, ndr); il film sarà girato a Nuova York. E’ una prospettiva che alla Magnani sorride e fa paura. «A Los Angeles, dice, dopo il lavoro si va a dormire; ma a Nuova York la vita comincia dopo le undici di sera».
S. M.
(Foto copertina © Licio D’Aloisio)