«Io finita? Dimenticata? Dico, ma volete scherzare? Ho ancora tanta di quella vitalità, dentro, tanta di quella energia che sento di potermeli mangiare ad uno ad uno».
Non ci sono dubbi: a parlare così non poteva essere che Anna Magnani, quella di sempre. Imprevedibile, sconcertante. E quelli che lei sente di poter divorare sono, nemmeno a dirlo, i produttori cinematografici italiani. E perchè?
«Perchè non c’è giornalista che, venendo da me per un’intervista, non mi chieda come mai non faccio più cinema, lasciando cadere lì, con negligenza, quasi mi fossi istupidita, l’insinuazione che se questo accade, se cioè non interpreto più film come un tempo, è perchè mi hanno messo da parte. E, guarda caso, sì, guarda caso, sono proprio io che ho detto e continuerò a dire di no. No e no a questo cinema. Finchè non mi proporranno cose che m’interessino, che io senta; meglio: che io senta di poter vivere. Capito? Roba scadente, che nemmeno agli inizi della mia carriera avrei accettato».
Dice Anna Magnani che è la botte del cinema italiano di oggi che da questo vino. Gliene offrissero di migliore lo berrebbe. Fa l’attrice, lei, non la difficile per partito preso.
Accartoccia gli occhi mentre mi parla, aguzzando lo sguardo come volesse penetrarmi da parte a parte. Poi si ravvia la ciocca dei capelli che le cade sula fronte, con gesto nervoso ed abituale, ed aspetta di vedere le mie reazioni.
Sembra incredibile che per un’attrice come lei non si trovi il modo di immaginare un film che si attagli perfettamente alle sue straordinarie, inesauribili capacità. Perchè una grande attrice lo è davvero. In più ostinata, puntigliosa, scrupolosa, umile sul lavoro come pochissime altre. Infaticabile.
Lo ha potuto sperimentare il regista Alfredo Giannetti, durante la lavorazione dei film destinati alla televisione. E così gli attori, che Nannarella riesce a mettere a loro agio, sempre. Così gli operatori, le comparse, i macchinisti. Tutti, insomma.
Quattro film di un’ora e un quarto ciascuno in sedici settimane: una media di quattro settimane per film. Quante altre dive di minore prestigio e dignità artistica si sarebbero sobbarcate a una fatica del genere? Mai una battuta d’arresto. Mai un attimo di stanchezza. Mai nemmeno un mal di testa.
Quattro settimane per un film vuol dire un risparmio sui costi di produzione di almeno il venti per cento. E’ chiaro, però – dice Anna Magnani – che bisognerebbe abbandonare anche l’idea di realizzare i film come s’è fatto sinora. Film d’autore ci vogliono per superare le crisi ricorrenti del nostro cinema. Perchè, è vero, sono crisi finanziarie, il più delle volte, ma anche e soprattutto crisi d’idee.
Con lei s’è instaurato una sorta di giro vizioso: «Mi offrono ruoli scadenti, in film scadenti. Naturalmente io rifiuto, sicchè è come se non me li avessero mai proposti».
«Vedrà, signora, sarà una cantonata, la fine del mondo», le dicono porgendole un copione. «Vado a leggerlo e in un primo momento mi fa rabbia, poi mi vien da ridere. Si vede proprio che hanno soldi da buttar via. Quando li hanno, si capisce».
Incontrare Anna Magnani, per la strada (molto raramente) o nella sua casa romana, un attico di Palazzo Altieri, in via degli Astalli, è un’esperienza di quelle che non si dimenticano.
E’ una donna viva, ricca di umanità, di quella saggezza ironica e comprensiva, propria di chi abbia sofferto molto e capito tutto della vita. Qualche anno ce l’ha, sulle spalle, ma il suo fascino femminile è quello di sempre.
Non sa odiare
«No, non sono un mostro sacro. Non lo sono ancora, non voglio esserlo e spero di non diventarlo mai. Odio i mostri sacri. E poi, che significa mostro sacro? Qualcosa, però, al cinema e non soltanto al cinema italiano mi pare di averlo dato. L’ho dato o non l’ho dato, lei che ne pensa? E la gente, che ne dice? Quel che chiedo è di poter continuare a dare. E chi si offre di dare, come io so di poter dare, ha diritto alla scelta, no?».
Il mio consenso l’ha rasserenata.
«Prende un caffè, o qualche altra cosa?». Mi parla accompagnando le parole con un sorriso divertito e tuttavia enigmatico, ironico: il sorriso che abbiamo visto in tanti film.
Non lo dice, ma si capisce che attende, ora, il risultato della vendetta covata dentro da tempo. Più che di vendetta meglio sarebbe parlare di rivincita. E’ più nella sua natura.
La vendetta, dice, è figlia dell’odio e lei non sa odiare. «Nemmeno chi mi ha fatto del male. E di male, creda, me ne hanno fatto!».
Intendo dire della rivincita legata alla serie dei film realizzati per la televisione. Le sono stati cuciti addosso su misura, come un abito. E come a un abito, provandolo, l’attrice ha suggerito aggiustamenti, rifiniture, dal momento che poi doveva essere lei ad indossarlo.
Era esattamente ciò che desiderava il regista: sono amici da tempo, e sapeva che se Anna Magnani si fosse messa a discutere su questo e su quello sarebbe stato il segno che la sua idea di portare sullo schermo uno spaccato di vita italiana, lungo un arco di cento anni, attraverso la donna, la nostra donna, le piaceva.
Il diritto alla scelta
«E difatti l’idea mi piacque subito», dice Anna Magnani, «e se lo dico, dovete credermi. Chi mi conosce sa che sono onesta con me stessa prima che con gli altri. So bene ciò che posso e non posso fare, ciò che non devo fare, soprattutto. Naturalmente, pago a caro prezzo questo mio diritto alla scelta. Per cose da nulla mi hanno offerto somme incredibili. Io, però, mi sento libera anche di fronte al denaro, e lo sarei anche se dovessi averne bisogno per vivere».
Aveva detto che non avrebbe mai lavorato per la televisione ed aveva anche spiegato perchè.
E’ vero che La sciantosa, 1943: un incontro, L’automobile e 1870 non hanno nulla di televisivo, quanto a tecnica di lavorazione: è cinema, come tutte e altre volte; ma già il fatto che, tranne uno (1870 che sarà prima programmato sugli schermi cinematografici e subito dopo alla televisione), si tratta di film destinati al pubblico televisivo, l’ha aiutata, in un certo senso, a superare tutte le difficoltà psicologiche legate al mezzo che aveva definito mostruoso.
Nel corso di una conferenza stampa per la presentazione de La sciantosa, nella sua versione a colori, ho chiesto all’attrice se ora si sentirebbe di affrontare, che so, un recital, uno special tutto per lei.
«E perchè no?», è stata la sua risposta. Aveva la febbre, si vedeva. I suoi occhi erano lucidi. Era venuta solo perchè «non avevo mai visto tanti giornalisti riuniti solo per me». Più tardi mi ha detto che tutto dipenderà da come il pubblico accoglierà questa sua ultima fatica d’attrice e, ovviamente, «se mi proporranno di fare dell’altro».
C’è una scena, nel film La sciantosa, e cioè quando Flora Bertuccelli, non potendo in alcun modo avviare lo spettacolo per i feriti, decide di cantare ‘O surdato ‘nnamurato. Solo una grande attrice, una donna ricca di risorse umane e psicologiche avrebbe potuto interpretarla come lei l’ha interpretata.
G. Bocconetti