Il film storico “Camicie Rosse” (1952), diretto da Goffredo Alessandrini e, per le scene finali, da un giovane Francesco Rosi, racconta le vicende che seguirono l’assedio di Roma da parte dei francesi e la caduta della Repubblica Romana (1849).
Il titolo si riferisce alle divise dei soldati di Garibaldi (dette anche giubbe rosse), già in uso tra i legionari italiani impegnati, nel 1843, nella difesa della Repubblica uruguayana.
Giuseppe Garibaldi (interpretato da un poco convincente Raf Vallone) marcia attraverso San Marino per raggiungere Venezia. In questo viaggio disperato lo accompagna Anita (Anna Magnani), incinta e cagionevole di salute, che con la sua forza morale sprona anche i soldati a non arrendersi al nemico austriaco e a combattere per la libertà, per la Patria.
Comincia una battaglia di movimento, ma i soldati del Generale manifestano i primi segni di cedimento, perdendo le speranze. In un crescendo di disperazione e sofferenza, l’esercito si sfalda. Contini (Serge Reggiani) tradisce, passando dalla parte del nemico e Bueno (Alain Cuny) disobbedisce e decide di tornare indietro, date le condizioni disperate dei soldati, ma Garibaldi intende continuare.
Messo alle strette, il generale vedrà la sofferenza dei suoi uomini, le illusioni, le paure e vivrà momenti di serio scoramento. Anita, amorevole, tenace e combattiva, lo incita a non arrendersi, nonostante le infinite difficoltà. L’esercito dei fedeli è composto anche da giovani ragazzi, che lottano ardentemente per un ideale e vivono in adorazione del loro generale, colui che porterà la libertà.
Ma gli austriaci continuano ad assediare i garibaldini e Anita, presente sul campo di battaglia, condurrà le manovre e terrà alto il morale: resistere è l’unica soluzione. Vinta la battaglia e giunti infine nella Repubblica di San Marino, che concede asilo, Garibaldi cercherà di trattare con la deputazione di repubblicani. Gli austriaci dettano condizioni che Garibaldi non può accettare che, sempre più convinto di raggiungere Venezia, rifiuta di firmare il patto e scioglie la legione.
Nel frattempo, Bueno, colto dai rimorsi, ritorna da Garibaldi prima della partenza per Venezia. Molti uomini decidono di seguire il generale e anche Anita decide di non lasciarlo, malgrado le sempre peggiori condizioni di salute.
Il viaggio si presenta ostile e impervio, i nemici giustiziano i garibaldini mentre il generale, Bueno e Anita cercano riparo nelle campagne. Il film si chiude con la morte di Anita e un disperato Garibaldi che non vuole abbandonarla, ma dovrà raggiungere al più presto Ravenna per evitare la cattura.
La sceneggiatura è attenta nel descrivere quei valori condivisi cui s’ispira l’Italia, che cerca un’unione statale, ma che possiede già unità culturale e morale. Non mancano, tuttavia, toni enfatici, retorici, persino stucchevoli.
Notevoli e di spessore alcune scene, ma il film risulta nel complesso poco efficace e scoordinato. Le tensioni venutesi a creare sul set tra Anna Magnani e l’ex marito, Alessandrini, pregiudicano il risultato finale.
La rivisitazione di un dato periodo storico e la conseguente trasfigurazione cinematografica è impresa assai ardua. Difatti, il film si perde in più di un’occasione disattendendo i nobili propositi che l’avevano ispirato. Sorretta da un andamento cronistico degli eventi, che segue un ordine predeterminato, la narrazione scivola facilmente nella tautologia e autorefenzialità.
E’ tuttavia riconoscibile l’idea fondante che ha mosso all’unificazione, la volontà di liberare il popolo italiano dalle varie e secolari dominazioni straniere. L’unità vista come necessaria risposta alla confusione dilagante, alla frammentarietà statale che pregiudica e soffoca un disegno costituente comune e unitario.
La figura centrale, intorno a cui ruota l’intera vicenda, è ovviamente Giuseppe Garibaldi, ma l’interpretazione più forte, pregnante, veemente, a tratti violenta, è indubbiamente quella di Anna Magnani.
Un personaggio, quello di Anita, così importante e rappresentativo,comportante indubbie responsabilità per qualunque attrice. Anna Magnani sa farne una creatura combattiva, tenace, disperatamente vitale tanto da sovrastare e a tratti oscurare gli altri personaggi.
Anita è il fulcro materiale e ideale delle vicende. Compagna comprensiva e innamorata, inamovibile nei sentimenti che fondano la sua volontà, tanto da vivere le battaglie in prima linea come fosse un generale ed ad essi, se necessario, disobbediente, ben consapevole del proprio ruolo esponenziale.
La sua energia, malgrado le precarie e gravi condizioni di salute, le proviene da una spinta ideologica mai colpita da momenti di cedimento: nella convulsa e drammatica situazione, Anita è l’unica figura costantemente certa della riuscita dell’impresa.
La sua grandezza si può scorgere proprio nella meravigliosa armonia emotiva che genera, tanto da contenere insieme tutti quei sentimenti di moglie e di madre prudente e anche di donna materialmente operante nella storia, capace di modificare la realtà secondo i valori che persegue. Il suo agire, apparentemente imprudente, cela una salda consapevolezza che non ammette alternative: la costanza dei suoi alti sentimenti è espressione di una atavica tendenza femminile a sostenere le più pesanti difficoltà con dignitosa umanità.
La morte prematura la strappa al suo uomo e ai suoi figli, ma anche alla vista del compimento di un sogno. E’ Anita Garibaldi il volto femminile del Risorgimento, che scuote le coscienze, divenendo emblema e stimolo per un intero popolo che risorge a nuova vita.
di Mariangelica Lo Giudice
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Vedendo “Camicie rosse” si capisce immediatamente il perché degli animati litigi fra Anna Magnani e Goffredo Alessandrini, che culminarono con l’abbandono del set da parte del regista. E forse si comprende anche perché Alessandrini, all’apice del suo successo, non abbia mai pensato di utilizzare l’immenso talento della moglie, inadatta, secondo lui, allo schermo. Certo, da un punto di vista tecnico, il film non manca di pregi…carrellate, belle riprese in esterno, scene di massa impegnative ed articolate ma, nel complesso, “Camicie rosse” rimane un prodotto celebrativo, enfatico, a tratti stucchevole. In altre parole, una di quelle pellicole molto apprezzate all’epoca del ventennio ma distante anni luce da quel cinema nuovo, quel cinema del reale di cui Anna Magnani rimane l’attrice più rappresentativa.
In un contesto – quello creato da Alessandrini – così lontano dalle sue corde, Anna sembra perdere di spontaneità: quasi imbrigliata e costretta in un ruolo, “recita” la parte di Anita senza “viverla” completamente. A differenza di tanti altri suoi film, qui non si verifica quella sorta di “magia”, quella sovrapposizione fra attore e personaggio, quella simbiosi perfetta grazie alla quale lo spettatore non distingue più fra chi recita e chi è portato in scena ma, anzi, identifica e riconosce quel personaggio solo ed unicamente attraverso il volto ed i gesti di quell’attore. Pensiamo a film come “Bellissima”, “Roma città aperta”, “L’onorevole Angelina”, “La carrozza d’oro”, ” La rosa tatuata”… Anna non “recita” Maddalena Cecconi. Anna “è” Maddalena Cecconi, così come “è” Pina… Angelina… Camilla… Serafina. Tutte donne che esistono oltre il personaggio, che hanno il volto e gli occhi di Anna, che si muovono come lei, pensano come lei, vivono solo attraverso lei. Non è così per Anita, che, suo malgrado, rimane un “personaggio recitato” senza prendere vita diventando un tutt’uno con Anna. Un vero peccato, perché quella figura di donna coraggiosa e fiera, ad Anna Magnani calzava proprio a pennello.
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