Malgrado l’ammirazione che la circonda, l’attrice si sente un po’ sperduta a Hollywood. “L’Italia mi manca”, ha confessato tra l’altro nel corso di un lungo colloquio con un collaboratore di “Tempo”. Ma insieme all’ammirazione, essa ha suscitato anche un certo panico, specie quando ha suggerito di rivoluzionare tutto adottando gli orari di Cinecittà
«Non si può dire di no alla Magnani», afferma il signor Luraschi (uno dei pochi italiani che sono riusciti a raggiungere un incarico direttivo alla Paramount).
«La ammiriamo incondizionatamente, ma soprattutto la temiamo».
Anna Magnani ha preso possesso dello châlet più lussuoso e più vasto della via delle dive – si chiama così una fila di bungalows collocati tra gli uffici amministrativi e i diversi teatri di posa – dove tra una scena e l’altra i grandi attori dello schermo vengono a cambiarsi, a truccarsi, a riposarsi.
Questo châlet, che fu quello di Marlene Dietrich e di Grace Kelly, glielo invidiano tutti. Anche Clark Gable, che recita in un altro teatro di posa della Paramount, si è dovuto accontentare di un camerino isolato in fondo al viale.
E l’altra grande diva italiana di Hollywood, Sofia Loren, non si è certo sistemata con altrettanto lusso. Non ha una camera da letto come quella della Magnani, nè il complesso apparato di altoparlanti che le permettono di ascoltare da qualunque punto dell’appartamento una musica appositamente trasmessa secondo i suoi gusti da un centralino.
E non ha niente di simile a questa larga distribuzione di specchi di Venezia, ben dodici, che riflettono all’infinito l’immagine di Anna Magnani per lo sguardo dei rari visitatori che essa ammette in casa sua.
Perchè lo châlet della Paramount è casa sua e nessuno, nemmeno il signor Balaban in persona – Balaban è il capo – oserebbe entrare dalla Magnani senza farsi annunciare da una segretaria.
«E’ un po’ dispotica», mi dicono agli studios, «e per questo non è molto popolare».
Per lei infatti bisogna lavorare ininterrottamente da quando entra nello studios fino a quando esce. Niente chiacchiere, niente riposo, nessuna pausa per il caffè, nè alcuna interruzione prolungata per la colazione: lei vuole girare, girare.
L’ho sentita provare una canzone, con la sigaretta in bocca – perchè per la prima volta in un film americano la Magnani canterà – alla presenza del direttore d’orchestra e del tecnico del suono. Siccome non era soddisfatta, costoro dicevano: «Rifaremo l’adattamento e vi riporteremo la versione finale venerdì», rispondeva indignata la Magnani, «macchè, ne ho bisogno stasera».
A Hollywood, dove si ritiene di aver lavorato moltissimo quando si è rimasti in teatro di posa due ore ininterrotte e dove non si sa rinunciare alla pausa e alla chiacchierata nella cantina-ristorante durante la colazione, il metodo Magnani è considerato press’a poco una forma di stakanovismo.
Quando un giorno un fotografo le mostrò una serie di foto del film, facendole sapere che le foto sarebbero state pronte dopo dieci giorni (un ritardo del tutto ragionevole a Hollywood), la Magnani non ascoltò ragioni «Due settimane? Ma quello è matto! Ne ho bisogno per domani».
E l’indomani mandò la sua segretaria al laboratorio con l’ordine di rimanervi finchè le foto non fossero pronte.
Ciò che è più buffo in questa storia è che tutti protestano, mormorano e minacciano di servirsi dei “woodoos” (artifici di stregoni di Haiti, molto di moda ora a Hollywood, dove si può acquistare una “cassetta per sortilegi” con fantocci, segni cabalistici e spilloni), ma alla fine tutto è pronto come vuole la Magnani.
Certo che una volta mancò poco che non provocasse uno sciopero: quando voleva cambiare l’orario degli studios. Racconta a questo proposito l’attrice:
«Io trovo che il sistema romano di cominciare a mezzogiorno e finire alle otto di sera è molto più pratico. Avevo dunque persuaso il produttore Hal Wallis a cambiare l’orario. Questo avrebbe consentito agli attori di non doversi più alzare alle cinque o alle sei del mattino, col risultato di arrivare agli studios ancora inebetiti dal sonno; non si sarebbe più dovuto affrontare l’imbottigliamento sulle grandi strade di traffico, dove la mattina non si può avanzare più veloci di una formica, si sarebbe approfittato delle ore gradevoli della giornata per girare il film e sarebbe rimasta la serata libera per i propri comodi. Ma il regista del mio film, il vecchio George Cukor, non voleva sentir parlare di questa innovazione. Cukor, che volete, non è più nella sua prima giovinezza e senza dubbio non ama più le innovazioni».
In realtà George Cukor è solo il capro espiatorio di questa storia. Perchè se si fosse prodotto un tal rivolgimento negli orari, tutti avrebbero deciso di fare sciopero e probabilmente gli altri studios si sarebbero uniti a loro per solidarietà. Così tutta l’industria sarebbe stata sull’orlo di un’altra situazione catastrofica, e Dio sa se il cinema ne ha abbastanza di situazioni catastrofiche.
Ecco perchè si è nominato una specie di “addetto alle relazioni con la Magnani”, che ha funzioni più di diplomatico che di cineasta.
Ma questi signori di Hollywood dimenticano tutto questo quando parlano dell’attrice: «Che temperamento sensibile, che personalità, che vitalità: mai niente di simile dalla Garbo in poi. Non rimpiango più di esser nato troppo tardi per poter vedere recitare Sarah Bernhardt: ora ascoltando la Magnani so che cos’è recitare», mi dice l’operatore.
Non vi è una sola persona a Hollywood, dal barman del Beverly Hilton al conduttore dell’autobus che fa fare il giro del quartiere delle stelle ai turisti, che non si sia espressa in termini apologetici sul grande talento della Magnani.
Una piccola segretaria di studios ha trovato la frase giusta quando ci hanno mostrato un brano del film girato il giorno precedente: «Anna Magnani è la grande dama del nostro cinema».
La grande dama mi ha ricevuto al Beverly Hills Hotel, dove abita, in pantaloni neri di stoffa leggera e con un vecchio pullover nero che pareva avere gran bisogno di essere rammendato e che le stava addosso a malapena.
Il Beverly Hills è l’albergo di tutte le stelle che non hanno ancora comprato una villa: qui risiedono e danno i loro cocktail party e tengono le loro riunioni d’affari, perchè le dive di oggi sono diventate quasi tutte persone d’affari e presiedono società e consigli d’amministrazione.
Anna non è pero venuta a Beverly Hills per qualcuna di queste ragioni, ma solo perchè non ha avuto tempo o voglia di cercare altrove. E’ troppo impaziente per mettersi alla caccia di un appartamento e si infastidisce molto di fronte agli ostacoli.
Non le ho posto la mia prima domanda («Vi riconosce la gente per la strada, qui a Hollywood?») per la semplice ragione che era superflua.
Abbigliata com’è con vestiti che sembrano esser stati distribuiti dall’Esercito della Salvezza, con gli enormi occhiali da sole e i capelli stretti nei bigodini, ha piuttosto l’aria di una cameriera d’albergo che della grande stella venuta dalla capitale dell’eleganza.
Le parliamo invece dell’Oscar. «Perchè non è venuta negli Stati Uniti a ricevere questo eccezionale premio?».
«Odio l’atmosfera che c’è alla distribuzione dell’Oscar. Tutti questi attori agghindati, truccati, che hanno preparato il loro breve discorso di ringraziamento e i loro sorrisi, attendono; poi ridono forzatamente quando il loro rivale vince, riescono a mala pena a nascondere il loro scorno quando vengono dimenticati ed esagerano la loro gioia quando vengono scelti. E’ un triste spettacolo al quale non voglio assistere nè prendere parte. Non sono rimasta insensibile a questo Oscar – continua Anna Magnani, come per attenuare le sue dichiarazioni – Fu infatti un miracolo: non ci credeva nessuno. Nessuno agli studios osava nemmeno pensarci, perchè dopo tutto ero una straniera, che parlava male l’inglese, e poi era il primo film che facevo qui».
«Come spiegate questo fatto, signora? Girate il vostro primo film a Hollywood e ottenete un successo, quando la maggioranza dei grandi nomi europei dello schermo che vengono a Hollywood ha sempre un debutto difficoltoso, molti tornano in patria senza aver girato alcun film, altri, anche i migliori, si illudono, ma non riescono a raggiungere il successo che hanno avuto in Europa».
«Perchè il pubblico americano non ha pregiudizi e non apprezza che gli autentici meriti. Valuta i pregi là dove realmente sono. Non ha compassione per chi non vale. Fama, propaganda e trucchi non servono. Quelli che son venuti qui e non sono riusciti a sfondare non debbono incolpare che se stessi e la loro mancanza di vero talento. Hollywood è come un esame di laurea: non si può barare al gioco».
E dopo una breve riflessione, Anna continua:
«Ecco perchè ammiro tanto l’America: tutto qui è meraviglioso, ma anche tutto qui è giusto».
«Rimarrete definitivamente a Hollywood?»
«Per il momento non so nulla di preciso. Tornerò a Roma quando avrò finito questo film e sinceramente desidero ritornarvi perchè mio figlio, che ora studia in Svizzera, vi andrà a trascorrere le vacanze. Per il futuro tutto dipende dai film che mi proporranno. Nessun contratto mi lega qui nè in Italia. Voglio rimanere libera di accettare un soggetto che mi sembri interessante e che mi vada a genio. Non prendo mai nessun impegno che limiti la mia libertà d’azione, qui come altrove. Ma ho un progetto: girerò a Roma un film tratto da un’opera di Alberto Moravia».
«Siete stata a vedere degli spettacoli teatrali a Broadway?»
«Si, quando il tempo me lo ha permesso. Sono una grande ammiratrice del teatro americano. Prima di venir qui, ho visto “My fair lady” (un adattamento musicale di “Pigmalione” di Shaw che ha fruttato una vendita anticipata di un milione di dollari di biglietti): è una meraviglia».
«Perchè allora si ignora lo sforzo artistico di Broadway in Europa?»
«Perchè non lo si conosce. Nuova York è lontana da Parigi e da Roma, costa caro venirci e la lingua è difficile a capirsi. Non dubitate che se in Europa si potesse seguire le produzioni di Broadway, si avrebbe per il teatro americano il medesimo interesse che si ha per il suo cinema».
«Avete desiderato di apparire a Broadway e vi si è offerto di farlo?»
«Sì, ho avuto delle offerte, ma ho sempre esitato a dire di sì. Francamente ho paura di Broadway, perchè sono straniera e parlo l’inglese non con ottimo accento. Agli studiosi si ripete una frase, si può girare di nuovo una scena, vi sono dei sistemi per correggere il suono. La sera si sa quel che si è fatto durante il giorno. A teatro, a Broadway, sarei sola davanti a un pubblico esigente».
Anna, seduta sull’erba, dà la caccia a dei piccoli insetti che chiama “bestie di Sant’Antonio” e che dice simili a quelle che sono nei giardini di Roma.
«L’Italia mi manca. Qui la mia vita è troppo sacrificata. Beverly Hills è una città senza abitanti. Non notate che nessuno gira per le strade eccetto i poliziotti? I negozi sono sì lussuosi, ma non si vede mai un cliente. Questa città mi dà l’impressione di una cassaforte al sole. Io adoro Nuova York, non è una città come Parigi o Roma, ma è tutto un mondo. Esistono persino due Americhe, quella di Nuova York e l’altra».
Parliamo poi della televisione e del declino di Hollywood. Anna Magnani non sembra essere d’accordo con me e non esita a contraddirmi.
«La televisione non m’interessa mai», dice. «L’ho nella mia stanza, ma non ne ho mai toccato un solo bottone. E’ un balocco. Non si può paragonare cinema e televisioni, nemmeno qui in America. Il declino di Hollywood? Frottole. Non ci credo e non l’ho riscontrato qui. Si lavora sodo, si ha dell’entusiasmo, i salari sono più elevati che mai e tutti hanno progetti ambiziosi».
L’attrice non trova niente di particolare da dire sulla disciplina americana nell’industria: «E’ la stessa cosa anche in Italia».
«Della pubblicità non mi occupo mai. Ricevo lettere, ma vi risponde la mia segretaria. Rifiuto tutte le interviste tranne rare eccezioni. Quello che dicono i giornali non m’interessa perchè non li leggo mai. Certo l’interesse del pubblico per la vita privata degli attori è lo stesso in America che in Italia e i metodi pubblicitari non sono molto diversi. Tutto questo dipende innanzitutto dalla persona dell’attore. Io credo che un film si giudica sullo schermo e non sulla rubrica degli scandali».
Il gran problema della Magnani a Hollywood, come altrove, è la scelta dei soggetti:
«Mi si pone continuamente una quantità di cose e io studio tutto con cura. Ma mi serve non solo un buon soggetto, ma un soggetto che sia fatto per me. Tennessee Williams scrive per me. Il film che giro ora, “Ossessione” (si cambierà il titolo in “Ossessione d’amore” – n.d.r. “Wild is the wind“), è stato completamente rifatto perchè si è cambiato il mio personaggio per adattarlo alla mia personalità».
«Avete delle preferenze speciali, esiste un ruolo particolare che vorreste interpretare in America?»
«Non vogli recitare niente che sia storico, niente di morto. Voglio dei personaggi di tutti i giorni, personaggi viventi, personaggi di domani. Voglio interpretare chi vive la vita d’oggi».
Le giornate della Magnani sono estremamente monotone.
Si alza alle sei («mi sono finalmente abituata a questo orario infernale») e arriva al teatro di posa verso le sette, con i capelli ancora stretti nei bigodini. Si mette subito al lavoro con la sua segretaria, che è in qualche caso un professore di inglese e di dizione. Fa tutto questo agli studios.
«Non lavoro mai a casa. A casa mi riposo. Perchè per interpretare una scena bisogna che veda lo scenario, i miei compagni di lavoro e bisogna che penetri nell’ambiente. Debbo essere sul posto e nel clima».
Alle cinque la Cadillac nera che le è stata assegnata viene a prenderla e, senza che prima si tolga il trucco e si cambi di abito, la porta all’albergo, dove è accolta dagli sguardi curiosi dei clienti del Beverly Hills. Mangia raramente fuori dell’albergo e quindi conosce poco la cucina americana. Ordina alla cucina dell’hotel piatti semplici, ma spesso si prepara lei stessa del tè o del caffè o un consommè.
Le sue serate sono tutte molto tranquille: ascolta della musica, legge qualche copione, sbriga la propria corrispondenza privata.
“Ossessione”, il film che presto si finirà di girare, è una storia molto semplice.
Un pastore del Nevada, sconfortato dalla sua solitudine, fa venire una emigrante italiana con l’intenzione di sposarla. La emigrante s’innamora di un altro uomo. Semplice davvero; ma l’autore Schulmann l’ha trasformato per farne un cavallo di battaglia per la Magnani che potrà, secondo Hal Wallis, offrirci tutti gli aspetti del suo grande talento.
Anche la Magnani è d’altronde occupata con questi problemi d’immigrazione.
Poichè è straniera, non può restare più di sei mesi negli Stati Uniti. Deve anche pagare ingenti tasse sul reddito al fisco americano, ma questo le importa poco.
«Io giro un film per girare un film, non per i dollari».
Deve tornare almeno per qualche settimana in Europa e potrà poi tornare qui per continuare a lavorare. Ecco perchè si ha tanta fretta di finire il film.
Ogni sera questa ansietà dei produttori si riflette sui loro volti quando con la Magnani esaminano le sequenze girate durante la giornata. Allorchè la proiezione è terminata, essi guardano la Magnani. Se sorride, tutto va bene. Ma se la Magnani si mette a parlare, allora Wallis si passa la mano fra i capelli e Cukor sospira. La segretaria automaticamente si mette a scrivere: «Bisogna ricominciare domani la stessa scena».
Perchè è la Magnani che comanda a Hollywood.
N. E. Gun
(grazie a Daniele Palmesi)