La prima volta che la vidi, Anna non poteva avere più di vent’anni. Fu da Rosati, a Via Veneto.
I miei occhi andarono su lei pilotati da quelli della unanimità dei passanti (qualcuno si era anche fermato); sembrava che fosse successo qualche cosa. Invece non c’era che lei, sola, seduta davanti ad un aperitivo, che guardava intorno con la sua tranquilla sicurezza di tigre reale, aspettando qualcuno.
Chiesi scusa alle due o tre persone che avevo urtato prima di fermarmi anche io e non certo per l’imperio del mio istinto di regista che era rimasto – e che rimase, ahimè, a lungo – muto e cieco sotto la benda e il bavaglio applicatigli dal più voltgare istinto dell’uomo.
Per la verità, e perchè aver compagni al duol scema la pena, debbo aggiungere che non fui il solo a non capir niente, per tanto tempo, di Anna Magnani attrice. E del resto era la stessa personalità di Anna, così intensamente aggressiva, popolare, autentica, irrefrenabile, a costituire un naturale diaframma tra lei ed un cinema nutrito di telefoni bianchi e di retorica.
Ci voleva la guerra con quel che portò di apocalittico, di bruciante, di straziante, di esplosivo per creare un clima idoneo alla nascita o meglio alla rivelazione di un temperamento come il suo.
E fu allora che la modesta attricetta di varietà immaginata per lei e da lei rappresentata quasi scherzando in Cavalleria di Alessandrini, dopo essersi imposta sul capo, con immediata facilità, la corona di regina, mai più cinta da altre, nel reale palcoscenico dell’arte varia, esplose con l’urlo della morte nel finale del primo tempo di quella Roma città aperta che segnò, anche per merito di lei, la prima gloria di Rossellini.
Quella corsa disperatamente scomposta, quell’urto, quel secco stramazzare a terra sotto i colpi del mitra, vinsero di gran lunga lo choc che mi aveva provocato un giorno lo straripante fascino della donna.
E, pur grande sempre in tutte le sue successive interpretazioni del cui alto livello testimonia la eccezionale devozione pià che amicizia che Anna si è meritata da Tennessee Williams, mi piace ricollegare, quasi a conclusione del suo irraggiungibile diagramma di possibilità espressive, quell’urlo di Roma città aperta con lo “scema” sussurrato scaruffando piano i capelli della giovane carcerata in Nella città l’inferno di Renato Castellani: schiva, ironica, e per ciò tanto più intensa e toccante manifestazione di tenerezza alla quale sentii che quel film aveva raggiunto una acme che nessuna altra immagine seguente avrebbe potuto superare.
Anna Magnani: un vulcano in eruzione e il Chiaro di luna di Beethoven, un tripudio di gioia ed un lago di amarezza, questa è l’attrice italiana di più grande temperamento dei nostri giorni.
A. Blasetti