Ritornerebbe sul palcoscenico, ma solo per interpretare personaggi impegnativi e se l’organizzazione teatrale in Italia fosse diversa.

Sono ormai molti anni che Anna Magnani non si presenta alla ribalta. Se non sbagliamo la sua ultima apparizione in pubblico come attrice di prosa risale all’anteguerra quando recitava commedie leggere con le compagnie di Gandusio o Rissone – Melnati – De Sica. Nel dopoguerra la ricordiamo in Cantachiaro e poi, a fianco, di Luigi Cimara, in una commedia musicale di Galdieri.

Se paragoniamo questo curriculum teatrale a quello cinematografico dovremmo classificare la Magnani fra le attrici cinematografiche. Ma siamo sicuri che l’interessata rifiuterebbe decisamente una qualificazione unilaterale.

In fondo non si può dimenticare che fu tra i primi aspiranti attori che accorsero alla Scuola Drammatica “Eleonora Duse” che poi, allargandosi e potenziandosi sotto la direzione di D’Amico, diventò l’attuale Accademia d’Arte Drammatica.

Come non si può dimenticare quanto ebbe a dichiarare una volta una delle attuali insegnanti di recitazione dell’Accademia e cioè al primo saggio i migliori allievi furono due: Paolo Stoppa e, appunto, Anna Magnani. Siamo nell’anno 1926.

Nessuna meraviglia dunque se Anna Magnani, giunta oggi al punto più alto della sua parabola artistica, considerata e proclamata in tutto il mondo una delle migliori attrici attuali, accarezza, ancora più o meno segretamente, quello che deve essere stato il suo sogno di partenza: dare al pubblico e alla critica l’esatta misura del suo talento di attrice di prosa.

Programmi americani

Nel corso di una recente conversazione non ci ha nascosto questo suo desiderio così come, molto sinceramente com’è suo costume, non ha passato sotto silenzio le ragioni che le rendono difficile il gran passo.

“Da quando sono ritornata in Italia dopo avere interpretato a Hollywood “Wild is the Wind” per la regia di George Cukor – ci ha detto – ho ricevuto molte proposte interessanti. Mi hanno offerto dieci volte “La figlia di Jorio” e Ungaretti mi ha chiesto, parlando alla televisione: Annarella perché non interpreti la Freda? Ma ho puntato tutte le mie carte su un cavallo sbagliato. Mi sono dedicata alla preparazione di un film tratto da due novelle di Moravia e ora mi accorgo che il film non si farà mai, che ho perso troppo tempo, che il mese di agosto, cioè il momento in cui dovrò ritornare in America, è più vicino di quanto non sembri. Così mi trovo costretta a un involontario riposo.

In America interpreterà la riduzione cinematografica dell’Orpheus di Tennessee Williams e, forse, un lavoro che Williams sta scrivendo per lei, a Broadway.

Sbaglieremo il pronostico, ma seremmo disposti a scommettere dieci contro uno che Annarella riceverà il suo secondo battesimo come attrice di prosa sui palcoscenici americani.

Autori, produttori, registi teatrali se la stanno contendendo da anni e se finora il grande ritorno non c’è stato, lo si deve più che ad altro al timore che la Magnani ha di dover recitare in inglese. Per questa ragione ha rifiutato di portare sulle scene La rosa tatuata, quando ormai Williams credeva di averla convinta al gran passo.

Staremo a vedere se L’Orpheus o la riduzione che Williams sta curando di un suo lungo racconto intitolato La primavera romana di Mrs. Stone, troveranno la nostra attrice più preparata e sicura. Comunque, lo ripetiamo, saremmo disposti a scommettere che il ritorno della Magnani al palcoscenico avverrà in America anziché in ltalia.

E lei stessa, indirettamente, ce ne ha dette le ragioni, quando ha dichiarato: “Vede, lavorare per il teatro in Italia è troppo faticoso. Io sono fuori allenamento e avrei bisogno di poter contare su un lungo periodo di prove: due mesi o tre, non saprei. E questo, lo riconosco è un grave handicap per una Compagnia italiana che non si può permettere un così lungo periodo di prove per le note ragioni. D’altra parte – continua la Magnani – un’artista non può sottoporsi ad orari ferrei come un ragioniere. Come si fa a dire: si prova dalle otto a mezzogiorno e dalle quattro alle dieci di sera? E se uno non se la sente di provare, di recitare, in quelle ore? Certo il lavoro di base lo si può fare ugualmente, ma ai fini della interpretazione artistica si combinerà ben poco. E’ inutile che le dica che se decidessi di ritornare sul palcoscenico accetterei solo personaggi molto impegnativi che mi impegnerebbero completamente dal punto di vista artistico… “.

Anna Magnani fa una lunga pausa poi aggiunge: “E poi, recitare tutte le sere una parte impegnativa come – La figlia di Jorio – o – la Fedra è bestiale -. Anche le donne di servizio sono riuscite ad ottenere un giorno di riposo la settimana, ma agli attori di teatro questo non è concesso. E lei sa quanto ne avrebbero bisogno, per respirare, per ricaricare le batterie“.

Il suo repertorio preferito

Come vedete la Magnani non ha perso la sua franchezza. Se l’organizzazione teatrale italiana non soddisfa le sue esigenze, discutibili fin che volete, ma sincere, la situazione del nostro teatro non le lascia minori perplessità.

La vitalità di un teatro è direttamente proporzionale allo interesse del pubblico. Ma il pubblico attuale, assillato com’è dalle tasse, dalle cambiali, dalla necessità di assicurarsi un pranzo e una cena, non ha tempo per sognare.

Che cosa si può offrire a questi spettatori? Un teatro di cronaca, immediato, scoperto. Non certo un teatro di pensiero o di poesia.

Tuttavia se Anna Magnani dovesse organizzarsi un suo cartellone oltre alla Fedra e alla Figlia di Jorio ci metterebbe una Medea, una Signora delle camelie spolverata, come dice lei, più vera, più moderna, più realista. Così come le piacerebbe una edizione del Pigmalione in dialetto romanesco.

In queste scelte si può riconoscere un indirizzo preciso e un desiderio di impegnarsi a fondo che ci fa rimpiangere il poco tempo che l’attività cinematografica lascerà – anche nel migliore dei casi – alla nostra attrice per potersi dedicare con la serietà che giustamente pretende al teatro.

Prima di congedarci da lei le abbiamo chiesto di rispondere ancora a una domanda che era questa: dal suo punto di vista di attrice quali sono attualmente le differenze essenziali fra il lavoro in teatro e quello negli “studios”.

Nessuna differenza – ha risposto la Magnani – o meglio una differenza c’è ed è questa: l’attore quando lavora per il cinema ha bisogno di un regista che faccia da accumulatore di sentimenti, emozioni, stati d’animo che, altrimenti, rischiano di disperdersi data la particolare organizzazione che sottende al lavoro cinematografico. Lo spezzettamento delle scene, la necessità di saltare da uno stato d’animo a un altro a seconda delle esigenze tecniche e di un preciso calendario di lavorazione, rende necessaria la presenza di un regista dal quale, in definitiva, dipende il crollo o la riuscita del film. In teatro la cosa è completamente differente: queste esigenze tecniche non esistono e un vero artista non ha bisogno del regista che, anzi, rischia di soffocarlo.
Jouvet diceva che la recitazione è calcolo, premeditazione, mestiere
 – ricorda la Magnani. – Lui poteva permetterselo, evidentemente. I risultati che otteneva stanno a dimostrarlo; ma in generale non penso che sia possibile accettare questa teoria riferendola ad un artista. Per esempio prendete l’Actor’s Studio di Kazan di cui si parla tanto.
Io durante la permanenza a Nuova York ho avuto la possibilità di assistere come spettatrice ad alcune lezioni impartite agli allievi della celebre scuola di cui ormai conoscete i metodi
Ma poi parlando con EIi Wallach quando è venuto a Roma per illustrare il “Metodo” di Kazan ho scoperto che lui stesso non lo condivide in pieno.
Perchè? Perchè Wallach è un artista nel vero senso della parola e, pertanto, non può rinunciare alla sua personalità. Del resto debbo dire che in America si lascia all’attore una grande libertà. Una delle ragioni del mio entusiasmo di lavorare in America è proprio questa: mi hanno sempre lasciato la più ampia libertà interpretativa, si sono sempre fidati del mio talento. Se cosi non fosse non saprei muovermi, non saprei alzarmi in piedi. Con questo non nego che si possano fare degli ottimi spettacoli di regia, che si possa recitare egregiamente “di scuola”, ma un artista non può sottomettersi a regole. E di qui nasce la difficoltà della sua collaborazione con il regista teatrale
“.

F. Calderoni