Anna Magnani ha vinto il premio Oscar.
E’ la prima volta che questo succede ad un’attrice italiana. La stampa americana, entusiasta, ha scritto che la sua interpretazione nel film “La rosa tatuata“ è un avvenimento che si verifica una volta sola in una generazione, e che può richiamare alla memoria soltanto un nome: quello di Greta Garbo.
Paragoni di questo genere non hanno evidentemente alcun valore culturale, ma hanno un valore incommensurabile se si pensa che sono usciti dalla bocca di esponenti della cinematografia di Hollywood, per i quali il nome di Garbo era un mito irraggiungibile.
Eppure questo mito è stato attaccato, anzi preso d’assalto, nella sua stessa terra d’origine, da una donna che, dal punto di vista esteriore, ha tutto quel che di più comune si possa immaginare: non è bellissima, non è fatale, è l’anti-diva per eccellenza. Come ha potuto questa popolana trasteverina scuotere il gusto standardizzato della civiltà transoceanica?
Il significato della vittoria della Magnani è tanto chiaro, che perfino il corrispondente da New York del “Corriere della Sera” ha dato la risposta esatta: non è soltanto il trionfo di una grande attrice, ma il riconoscimento massimo che il cinema di Hollywood assegna al neorealismo italiano.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi in proposito, basta ricordare che anche il premio a “Marty”, al suo attore principale, al suo soggettista e al suo regista, ha quest’anno lo stesso inconfondibile sapore polemico: essendo “Marty”, come è noto, un film realizzato da persone che hanno imparato dal nostro stile cinematografico nazionale, rappresentando anche esso il contrario del divismo e dei grandi mezzi spettacolari e commerciali.
Ma la domanda rimane: quale ragione fondamentale ha portato alla vittoria la nostra attrice, nonostante l’agguerrita concorrenza delle stelle americane che, senza dubbio, possiedono in certi casi un mestiere superlativo, e soprattutto nonostante che gli Oscar siano maneggiati dal “box-office”, che è la borsa degli attori, e dagli stessi ambienti della produzione hollywoodiana?
La Magnani non ha vinto l’Oscar con un film prodotto in Italia, ma prodotto in America. Se da una parte questo fatto suona condanna per i produttori nostrani, che hanno accantonato un’attrice di valore mondiale, preferendo provincialmente le volenterose ragazzotte che conosciamo, dall’altra ci riempie di soddisfazione perchè ha indicato con quale impeto e fino a qual punto gli elementi sani e vivi del nostro cinema e della nostra cultura possono imporsi nel regno riconosciuto del conformismo, con una benefica influenza.
Il commediografo Tennessee Williams ha scritto il soggetto della “Rosa Tatuata” ispirandosi al carattere della Magnani così come l’aveva conosciuta nei nostri film neorealistici. Ora ha ultimato un testo teatrale per lei, pensando che “Nannarella” vincerà anche la battaglia del palcoscenico nel cuore di Broadway.
Anna Magnani, con la forza esplosiva del suo temperamento, con l’impegno morale del suo personaggio di donna italiana, ha spinto un autore decadente come Williams a liberarsi dal clima soffocante e arido in cui erano chiusi i suoi personaggi abituali.
Liberazione, beninteso, che non viene compiuta senza sforzo, senza dramma: ma con l’aiuto diretto di un’attrice potente e ricchissima, che con la figura di Serafina delle Rose, protagonista del film, compie lo stesso cammino, uscendo da un isolamento morboso di vedova inconsolabile per una nuova e più vibrante vitalità.
Tutto ciò ha portato aria nuova, aria di vita nel mondo dello spettacolo americano, e anche lo spettatore ha cominciato a respirare.
E quando il confronto diretto tra il realismo e l’artificio, tra la Magnani e qualsiasi altra attrice di Hollywood è stato reso possibile, il giudizio non poteva che essere quello, anche dal punto di vista, si badi, dell’industria e degli affari.
Hollywood – per quanto la cosa sembrasse paradossale – non poteva che premiare col suo più alto e famoso riconoscimento l’ardente e rivoluzionaria eroina di “Roma Città Aperta“.
U. Casiraghi
Foto di copertina: Archivio L’Unità