Che il doppiaggio fosse uno strumento importante nella lavorazione di un film lo sapevamo tutti, ma ciò che forse non tutti sanno è quanto il doppiaggio sia stato velatamente occultato e a volte criticato dagli stessi registi, importanti critici cinematografici e giornalisti.
“Anna Magnani e il doppiaggio” è il primo volume di una collana editoriale voluta dallo storico del doppiaggio italiano Gerardo Di Cola e diretta dal critico cinematografico Alberto Castellano.
Questo piccolo e sincero volume oltre a ripercorrere brevemente la carriera cinematografica di Anna Magnani, a contestualizzarla, confrontare film e dichiararci in quali occasioni e perché venga o meno doppiata o auto-doppiata, ci porta soprattutto a riflettere sull’importanza del doppiaggio in sé e sull’impatto che una voce estranea al corpo di un attore possa avere sullo spettatore, condizionando e cambiando l’immagine e il personaggio che quell’attore ha sempre comunicato con il suo volto, con le sue espressioni.
Anna Magnani era di certo un’attrice con una forte personalità scenica, fisica, e la sua timbrica era una caratteristica assolutamente dominante. La sua era una voce inimitabile, forse non bella per certi canoni di un tempo, ma sempre carica di emozioni, sapeva essere ruvida o di velluto, come l’espressione dei suoi occhi o le pieghe delle sue labbra. Diventa quindi un’esperienza insolita sentire una voce estranea uscire dal suo corpo (come nei film “La principessa Tarakanova” e “Finalmente soli“), pur trattandosi di voci note come quella di Marcella Rovena o Tina Lattanzi.
Ma riflettiamo in fine su un altro punto. Anche quando fu la stessa Anna Magnani ad auto-doppiarsi (nella maggior parte dei film), recitando nuovamente le sue parti chiusa in una sala e senza l’aiuto della sua fisicità, quanto ci ha sottratto della vera Anna Magnani? Quanto del suo istinto e della sua emozione abbiamo perduto ? O forse, in alcuni casi, ha anche migliorato nella fase di doppiaggio i suoi personaggi?
Non è certo facile rispondere univocamente a tali interrogativi stante anche la complessità organizzativa dell’industria cinematografica che pretende di unire tutte le componenti al fine di creare un unico “prodotto”: un film, un’opera.
Lo spettatore, pur consapevole della finzione architettata che si palesa ai suoi occhi, si finge ignaro e si fa coinvolgere dalla componente emozionale, diremmo artistica, del singolo film.
Il doppiaggio, in questo iter, è una conditio sine qua non: ciò che nel complesso potrebbe apparire marginale, un grazioso orpello, è di fatto diventato indispensabile.
Grazie ad esso, infatti, non solo le Produzioni Cinematografiche trovano un ottimo modo per ridurre notevolmente i costi di produzione, ma come giustamente ci fa osservare l’autore del libro, diventa anche un ottima “catapulta” per tutti quegli attori non professionisti che si ritrovano all’improvviso nel magico mondo cinematografico senza aver mai studiato recitazione e dizione.
Lo studio di questo incredibile e curioso universo artistico è importante non solamente per gli operatori cinematografici ma anche per il comune appassionato che sappia accostarsi al cinema ancora con incantevole curiosità e stupore.
di Laura Finocchiaro / Mariangelica Lo Giudice
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