Ormai placatasi la polemica fra i critici teatrali romani e il regista Franco Zeffirelli, Anna Magnani ha confidato in questa intervista il desiderio di poter portare sulle scene teatrali di Nuova York il dramma che ha tenuto a battesimo il suo trionfale ritorno sulle scene
Roma, Novembre
La polemica fra Franco Zeffirelli e i critici romani, che surriscalda da oltre dieci giorni l’ambiente teatrale della capitale come non avveniva nemmeno al famoso “no” della Callas di cantare, sei anni fa, col Presidente Gronchi presente in palco all’Opera, si sta dolcemente estinguendo.
E si estingue nel luogo più giusto dove si deve smorzare un fuoco che ha invelenito e coinvolto l’intera categoria dei critici, disorientato il pubblico e amareggiato una compagnia che fa il suo dovere ogni sera ed è stata in fondo la vera vittima.
Questo luogo di ammortizzamento è il seno bianco e generoso che Anna Magnani, nella parte della Lupa di Giovanni Verga offre ogni sera agli occhi degli spettatori.
Quando gna Pina, al termine del primo atto, avvolta in uno scialle nero che non lascia vedere nemmeno la faccia, lo scosta bruscamente offrendo all’indeciso Nanni la vista della sua scollatura che emerge da una camicetta bianca, il pubblico è scosso da un fremito di disperazione, amarezza e sensualità emanato dalla Lupa.
Rita Hayworth, che era presente a teatro, ha sussultato, quando Giovanni Verga fa sì che Nanni Lasca, ormai incapace di resistere, segua la Lupa nel buio della campagna.
E’ giusto quindi che sia Anna Magnani, l’attrice che ha impersonato il neo-realismo quando il cinema italiano, nel dopoguerra ha cominciato ad avere un suo stile vivo e violento, sbalordendo il mondo colorato di Hollywood che allora si chiamava Deanna Durbin; è giusto, ci sembra, che sia proprio lei, con quel suo motore d’amore per il teatro che balza evidente in ogni sua battuta, a fare cessare questa polemica.
E quando, alla fine del dramma, la Lupa sfida per l’ultima volta Nanni Lasca offrendogli il suo amore, qualcuno del pubblico ricorda un film di Anna Magnani, vecchio più di vent’anni, in cui lei, battendosi il petto col pugno, cantava: «Qui nel sen, qui nel sen, c’è il mio ben; qui nel cuor, qui nel cuor, c’è il mio amor…».
«Sono amareggiata, per la compagnia e per me: proprio ora che torno al teatro dopo dieci anni di silenzio con un personaggio che desideravo interpretare da sempre. La mia consolazione è il pubblico romano che mi è stato solidale e la sera della prima mi ha tributato alla fine diciotto chiamate»: così sussurra Anna Magnani nella penombra del suo camerino.
Lì, arriva ogni sera, alla fine dello spettacolo, estenuata, la voce roca dallo sforzo a cui viene sottoposta, i capelli appiccicati dal sudore e dai fili di paglia dei covoni di fieno dove deve ruzzolare un paio di volte (nella scena della seduzione e in quella in cui cade sotto i colpi d’ascia dell’amante), piena di graffi e di lividi per il troppo verismo trasmesso durante la mischia con la figlia, e nella lotta con i contadini e i paesani che la vorrebbero linciare.
«Per me, affrontare il pubblico di Roma, era come strappare al professore una bella pagella piena di voti» dice, sedendosi davanti al tavolino del trucco, dove abbondano più le medicine per la pressione bassa e per l’influenza che i ceroni, le ciprie e i bistri.
La sera della prima della “Lupa” la critica romana aveva disertato in massa il teatro “Quirino”. Anna Magnani era stata avvisata, poco prima di entrare in scena, che le prime due file di poltrone, di solito occupate dai giornalisti della critica teatrale, sarebbero state o vuote o riempite all’ultimo dal pubblico pagante e che faceva coda per trovare ancora un posto.
«Certo, è stato un colpo; noi della compagnia eravamo coinvolti in una discussione che riguardava soltanto il regista dello spettacolo e la critica. Tuttavia, ho recitato come se niente fosse accaduto; man mano che andavo avanti sentivo il contatto fra me e il pubblico stringersi, attanagliarsi in una morsa che si è allentata solo al finale quando sono esplose le diciotto chiamate. E ogni volta c’è un fermento nuovo, stasera per esempio per la prima volta, quando cado sotto la scure di Osvaldo Ruggieri, ho sentito un’ondata di sbigottimento e di raccapriccio levarsi dalle poltrone. Questa è la vera soddisfazione per un attore: riuscire a strappare ogni sera una nuova sensazione», dice la Magnani.
Nel camerino di Anna arrivano due signore eleganti con gioielli e stole di visone: sono due sue amiche che vivono in America e venute espressamente a Roma per “La lupa”.
«Non ho amiche donne, all’infuori di loro – mi dice presentandomi le due signore. – Preferisco sempre la compagnia e l’amicizia degli uomini, ho meno motivi per litigare…». Dice ridendo.
Le amiche parlano dell’America, rievocano i tempi dei film girati laggiù con i soggetti scritti apposta per lei da Tennessee Williams. «Ti ricordi Anna, quando giravi “La rosa tatuata”? e quando litigasti con Brando…».
Anna Magnani aggrotta la faccia, ecco ora sembra proprio “La lupa” ferita e dignitosa, ammantata nel suo scialle nero. Poi sbotta in una nuova risata. «Già, ma poi facemmo subito la pace…».
Quali sono i suoi progetti per il futuro? Prima di tutto portare il dramma di Verga in più città possibili: dopo Roma la compagnia andrà in tournée in Emilia, e a Milano.
Come mai Anna Magnani ama talmente questo personaggio? Flaubert al processo intentato contro il suo romanzo si difese dicendo: «Madame Bovary c’est moi».
Anna Magnani risponde: «La Lupa sono io. Già anni fa esisteva un progetto per tradurre il testo di Verga in un film, poi De Laurentis lo realizzò con l’attrice Kerima. Ora ci siamo incontrati Franco Zeffirelli e io con la comune passione per questo dramma rovente e tipicamente italiano. Spero di portarlo anche sulle scene di Broadway. Per il futuro c’è il progetto di realizzare “Antonio e Cleopatra” di Shakespeare. Certo Cleopatra è un personaggio più sfaccettato, non monocorde, ma ora che ho colmato questi dieci anni di assenza dal teatro, sono piena di entusiasmo per l’avvenire».
Entra nel camerino Andrea Andermann che è un giovane pieno d’iniziative e con le idee ben chiare su cosa siano le public relations. E’ l’aiuto-regista di Zeffirelli.
Nel camerino accanto c’è invece Zeffirelli. Sta leggendo a voce alta l’ultima edizione di un giornale della sera: «Pio XII e Giovanni XXIII saranno fatti santi. L’annuncio è stato dato dal Vaticano durante il Concilio». «Ci sarà così l’indulgenza plenaria», commenta Zeffirelli. La benedizione papale toccherà il cuore dell’irruente regista e della critica romana?
Davanti al portone riservato agli attori sosta una macchina fuoriserie rossa targata Napoli. E’ la macchina che un ammiratore timido di Anna Magnani ha affittato in Italia sbarcando dall’America e con cui segue l’attrice in tutta la sua tournée.
Dentro, seduto al volante, c’è un uomo dai capelli bianchi, la faccia grinzosa, l’espressione smarrita e con una grossa sciarpa di lana bianca che gli avvolge la gola. «Sto male – dice – mi sta venendo l’influenza», spiccica in un italiano broccolino: «Domani sera non potrò venire».
R. Guerrini