“Vi immaginate, dopo tanto chiasso, un fiasco della Magnani?”. Così dice terrorizzata l’attrice alla vigilia di interpretare “La Lupa” di Verga al Maggio Musicale Fiorentino. Ma Zeffirelli giura che sarà un trionfo.
«HO PAURA. Ma paura proprio, peggio di una ragazzina esordiente. Del resto questo è per me una specie di esordio. Dico, son più di dieci anni che non rimetto piede su un palcoscenico. Eppoi le ultime cose che ho fatto erano riviste. Ma il teatro, quello vero, eh, meglio non fare il conto degli anni che ne sono rimasta fuori, bisogna rifarsi a prima della guerra, se si esclude un fuggevole ritorno negli anni del dopoguerra, nella “Carmen” di Merimée… E ora, si capisce, provo addirittura un complesso nei confronti di questi giovani che recitano con me; giovani sì, ma abituati al teatro. Io invece non ho l’allenamento. Col cinema è tutta un’altra cosa, la scena si ripete decine di volte, se una non funziona niente di male, e si girano poche battute alla volta. Qua no. Qua tutto deve funzionare giusto al momento giusto, se no, addio. Ecco, la mia paura più grave è quella più banale, che mi manchi la battuta. Mio Dio, come una ragazzina esordiente, proprio. Con la differenza che se fa fiasco la debuttante nessuno ci fa caso. Ma se fa fiasco Anna Magnani… Se l’immagina? Dopo tanto chiasso, dopo tanta attesa. Eh, no, questa è la volta che, se mi va male, mi ritiro in campagna, sola con Lillina, e nessuno mi vede più».
E scoppia a ridere. La sua celebre risata, rauca e squillante insieme. Ma gli occhi, mentre accarezza la cagnetta Lillina, accucciata sulla sua stessa poltrona, esprimono preoccupazione autentica.
Non è una posa, non è civetteria. Anna Magnani, accingendosi a interpretare La Lupa di Verga, uno dei più attesi spettacoli del Maggio Musicale Fiorentino, che andrà in scena alla Pergola per cinque sere, dal 26 al 30 maggio con la regia di Zeffirelli, ha paura.
Eppure l’ho vista poco fa, mentre provava sulla scena provvisoriamente allestita al Comunale: una grande aia, tra una quinta di vecchie case sbrecciate da un lato e un enorme cumulo di covoni di grano dorato dall’altra, sotto un cielo dominato da un’enorme luna gialla.
L’ho vista recitare con Anna Maria Guarnieri e Osvaldo Ruggeri uno dei momenti più difficili del dramma, quando si manifesta per la prima volta, in tutta la sua intensità, il nodo delle passioni attorno cui ruota e si dipana la vicenda: l’amore della protagonista, una vedova matura ma ancora assai piacente, per un giovanotto del paese; il rifiuto di lui, che non vuole imbrogli, ha bisogno di accasarsi onestamente e gli chiede invece in moglie sua figlia Mara; e la debolezza di lui, che non sa resistere al richiamo di questa strana donna.
L’ho vista discutere ogni parola, ogni gesto, ogni intonazione e sfumatura con Zeffirelli e gli altri interpreti. L’ho sentita chiedere ripetutamente la lettura della didascalia, per chiarire sempre meglio il senso più riposto della battuta. L’ho osservata raccogliersi in se stessa come ad ascoltare i suggerimenti più sottili del suo sentire.
Parole di Verga che sembrano il suo ritratto
L’ho seguita in questo minuzioso consapevole acuto lavoro di vera grande attrice. L’ho guardata poi scatenarsi in tutta la funesta grandezza del personaggio.
La guardavo e ricordavo le parole con cui Verga descrive la Lupa: «Ancora bella e provocante, malgrado i suoi trentacinque anni suonati, col seno fermo da vergine, gli occhi luminoso in fondo alle occhiaie scure, e il bel fiore carnoso della bocca nel pallore caldo del viso»: parole che sembrano il ritratto di lei, Anna Magnani.
La guardavo e pensavo che se c’è un personaggio che sembra coniato su misura per lei, per il suo temperamento irruento e sanguigno, carico di umori popolareschi, capace di incontinente allegria come di fosche cupezze, questo è la Lupa.
Lei stessa del resto me lo conferma: «La Lupa me la son sempre sentita in seno, da quando per la prima volta ho letto la novella da cui il dramma è derivato. Ho sempre avuto una voglia disperata di interpretarlo. E ne ho avuto anche più di un’occasione. Quando Lattuada fece il film omonimo, io ero stata la prima interpellata per il ruolo della protagonista, e subito avevo accettato entusiasta, ma poi rifiutai dopo aver letto la sceneggiatura; trasportata in un altro ambiente e in epoca moderna, quella non era più la Lupa che Verga aveva pensato, non era più il personaggio che avevo sognato di vivere fino in fondo. Un’altra occasione me la offrì lo stesso Zeffirelli, un paio d’anni fa: doveva fare per la televisione inglese una serie di classici italiani, e tra questi aveva deciso di includere il dramma di Verga; io, al solito, fui felice di dire di sì. E poi sa come succede a noi, gente del mondo dello spettacolo: l’attore propone e il contratto dispone. Io avevo troppi impegni che non potevo assolutamente rinviare; Zeffirelli, dal canto suo, ne aveva altrettanti. Far coincidere i nostri “tempi” era impossibile. Andò tutto a monte un’altra volta. E ora, eccomi qua».
Me lo conferma, con precisa consapevolezza professionale, Franco Zeffirelli: «Anche per me La Lupa è un vecchio amore. Da gran tempo avevo voglia di metterla in scena, perchè oltre tutto, mi pareva assurdo, colpevole addirittura, che il teatro italiano dimentichi Verga a questo modo. E sempre, da quando ho incominciato a pensarci, questa tremenda donna l’ho vista con la faccia, la voce, il calore umano di Anna Magnani. A me capita spesso, nei confronti di certi personaggi, di immaginarli solo addosso a un dato attore, e di decidere: o con quello o con nessun altro. Come la Tosca, ad esempio; da tanto sognavo di dirigerla, ne vedevo le scene, conoscevo esattamente il clima in cui immergere lo spettacolo. Ma la protagonista per me poteva essere solo la Callas. E ho avuto ragione. Anche con la Magnani avrò ragione. Più ci lavoro insieme più me ne convinco. Anna ha da insegnare a tutti; non ha idea quale maestra sia per i giovani che recitano al suo fianco. E anch’io imparo da lei, dalla sua carica di semplicità, di verità, di istinto, da queste sue qualità native incontenibili, che si impongono alla sua stessa consumatissima bravura, e che per noi, intellettuali a volte troppo raffinati e preziosi, costituiscono una grossa scuola».
Una paura vera che nasce e muore ogni momento
«Sì, sarà un grande ritorno, questo di Anna al teatro. Finora le sue possibilità sono state sfruttate solo in minima parte, spesso anzi addirittura sono state sprecate, come accade nel cinema italiano, dove si buttano autentici valori. Io volevo lei anche per “Chi ha paura di Virginia Woolf”; ma lei quella volta non ha saputo decidersi. Questa volta ci sono riuscito. E ci riuscirò molte altre volte. Ho in mente grandi cose per Anna: quasi certamente “Antonio e Cleopatra”, forse “Macbeth”».
Be’, con tutto questo, Anna Magnani ha paura. Non è posa. Non è civetteria. E’ paura vera e gliela leggo in faccia, quando si ricomincia a provare.
Questa volta è la grande scena di massa con cui inizia il dramma: sera di luglio, contadini che riposano dopo la mietitura, scherzano, cantano, ballano, si scambiano stornelli e battute; costume autentici, ripescati in vecchie casse dai contadini siciliani, costumi lungamente portati, che quasi non ricordano più il loro colore originale, ma hanno quello del tempo, logoro, sfatto, bruciato dal sole, lavato dalle stagioni; autentiche musiche siciliane, suonate sui tipici strumenti isolani, il “Friscaleddu” e il “Marranzanu”, da due siciliani autentici, appositamente ingaggiati. Una di quelle scene per cui “La Lupa”, anche dal punto di vista spettacolare, sarà uno dei pezzi forti del “Maggio Fiorentino“.
Lei, Anna, si mescola a tutti gli altri, con la sua faccia carica d’ombre, i grandi occhi lucidi dentro le occhiaie fonde, sotto i capelli grondanti in ciocche infuriate; insieme con gli altri prova e riprova, balla, canta con la sua stupenda voce scura e calda.
E se il tono non le pare quello esatto, lei stessa chiede, impone di ripetere; se non crede di essere perfettamente padrona dei movimenti della danza, lei stessa si rivolge al maestro del balletto per riprovarli con lui; se le manca una battuta, commenta: «Amnesia della Magnani» e scoppia a ridere per mascherare la stizza.
Poi, nelle pause, si apparta, si rannicchia su se stessa e sulla sua preoccupazione.
«Sono la persona più insicura di questo mondo»
«Lo so – mi dice – lei si stupisce di vedermi così. Chi non mi conosce da vicino non sa che sono la persona più insicura di questo mondo, che la mia spavalderia è solo un modo di difendermi da me stessa, che mordo solo per timore di essere azzannata dagli altri. Ogni lavoro che faccio mi pare sempre che sia il peggiore. Eppoi questa volta, una cosa così importante, e poche, troppo poche prove. Una cosa di questo calibro dovrebbe essere studiata giorno per giorno, ogni giorno scavata più a fondo, ogni giorno scoperta un po’ di più, fino a possederla in ogni sfumatura. Be’, ormai ci sono. E del resto, questo ritorno al teatro, me lo dovevo regalare. Dovevo, anche a costo di rimetterci la faccia. Io sono nata nel teatro, e del teatro, in tutti questi anni, ho avuto sempre nostalgia. Il cinema, certo, mi ha dato molte soddisfazioni. Ma quel contatto diretto con il pubblico, quel brivido che ti dà una platea piena, che ti gela, ma al contempo ti dà una forza senza misura, questo chi l’ha provato una volta non se lo dimentica più, lo vuol provare ancora».
«Oltre tutto, – continua la Magnani – era un bisogno morale, proprio, la necessità di darmi una ripulita. Perchè sa, il cinema purtroppo si va imbastardendo. L’ultimo film che ho fatto, “Le magot de Josepha”, con Bourville e diretto da Autant-Lara, ho dovuto farlo perchè avevo degli impegni contrattuali cui non potevo mancare, ma ne sono rimasta veramente disgustata, una farsaccia ignobile, volgare, da vergognarmene. Dopo di che ho deciso: basta, film che non mi piacciono non ne farò mai più. E ho rifiutato decine di proposte: tra l’altro quella di una pellicola americana che si sta girando ora a Parigi, un’offerta di centosettantamila dollari, mica uno scherzo. Perfino alla “Bibbia” ho detto di no; mi avevano interpellato per l’episodio di Sara, ma io, pur trattandosi di un lavoro così importante, ho detto di no, non mi sentivo nel personaggio. E adesso questa “Lupa”. E questa paura. Ma finalmente è lavoro vero. E, malgrado la paura, non ne sono pentita. E’ un rischio che val la pena di essere affrontato. E al rischio, dopo tutto, io ci sono avvezza».
E. Nardini