Sei anni dopo il successo di Roma città aperta abbiamo scoperto ciò che si nasconde dietro un personaggio famoso
Roma, giugno
Prima di entrare nella stanza di soggiorno del suo appartamento all’ultimo piano di palazzo Altieri, Anna Magnani deposita due zucche gialle in anticamera, accanto a un grosso cavolo di ceramica verde che decora il tavolino dell’ingresso.
Si toglie il fazzoletto di testa e poi si affonda in una poltrona, proprio sotto il ritratto che Leonor Fini le fece l’anno scorso a Parigi: un viso pallidissimo dagli occhi inquieti e ardenti sotto la frangia irregolare.
Tutt’intorno, nella sala ordinata, il Benchstein a mezza coda, il caminetto dagli alari d’ottone (e davanti, uno sgabello a piccolo punto), i bei lumi di opalina celeste, la gran cornice barocca con dentro una pagina azzurra e oro del Gloria, e le librerie, nelle quali si riconoscono i quindici volumi di Proust, la Vita degli animali del Brehm, la Vita di Garibaldi e le ultime novità italiane e francesi.
Dalla finestra entra il rosa dei gerani fioriti sul terrazzo, e tutta lucida la luna, sul fondo nero del cielo. E nella luce della luna, la padrona di casa è la stessa del quadro: uguale la pelle color magnolia, uguali gli occhi tristi d’un liquido verde, identica la piega della bocca ancora giovanissima.
Anna Magnani torna in questo momento dalla sua villa al Circeo («la mia vera casa», dice) ed è stanca, perchè tutto il giorno non ha fatto che lucidare le mattonelle bianche e blu della sua cucina sotto gli occhi del guardiano Francesco. Ed ecco che, con la sua voce velata dalle molli cadenze, essa descrive il vecchio che le prepara la colazione, e, ritto e compunto come un ambasciatore, con un aristocratico boccolo grigio in mezzo alla fronte, le siede di faccia a tavola, passandole con estrema dignità le ampolline dell’olio e dell’aceto.
E’ l’uomo più fedele che essa conosca. «Comandi!» le dice, mettendosi sull’attenti, e «guai a chi me la tocca, la mia signora!».
Francesco veglia notte e giorno sulla grande casa sul mare e sul giardino folto d’ulivi e di pini selvaggi. «Ma voi, Francesco, è vero che non dormite mai?» gli aveva chiesto quel giorno. «Proprio che m’addormento, mai, signora mia. Ma per due ore la notte io mi metto sul letto, allora la vita si calma, il mio sangue non s’agita più e così mi riposo».
Anna Magnani sa raccontare molto bene, e attraverso le sue parole vive e precise, pare che nel salotto sia entrato d’un tratto anche l’ostinato ed economo Francesco, che scongiura la sua padrona di non spendere troppo per la pompa elettrica e l’aiuta a lucidare i pavimenti con le sue braccia di vecchio contadino.
Come Francesco, anche altre persone colpiscono l’immaginazione di quest’attrice così pronta a vedere, ad appassionarsi di quanto vede e poi a descriverlo con gusto; ed è tutta gente silenziosa, paziente, e tuttavia estremamente pittoresca.
Per esempio le donne davanti alle quali la sua automobile dovette fermarsi una volta a Velletri, due chilometri di donne in processione che coi piedi nudi, il viso pallido e intento sotto il fazzoletto nero, camminavano da quattro ore, reggendo i pesantissimi ceri, in attitudine di grande penitenza. Finchè (il racconto continua) apparve il tabernacolo della Vergine delle Grazie, col suo faccino nero sepolto nel raso bianco, il fragile bimbo in braccio, e addosso tutto l’oro di quella povera gente, che scintillava nel sole, pezzetti di catene, vecchi orologi, buccole da contadine, una fibbia, un pendaglio e gli esili e consunti cerchietti matrimoniali.
Quel giorno il cuore di Anna Magnani era turbato e infelice, ma la vista della Madonna bianca, nera e dorata, le diede una calma improvvisa. Allora s’inginocchiò per strada, e l’indomani i suoi begli orecchini spiccarono sul manto di raso della Madonna, in mezzo ai poveri ori delle pie contadine.
Anna Magnani confessa di avere un gran terrore di Dio; e l’unica sua forza sta nel cercar d’aver la coscienza in pace. Essa si propone costantemente di non fare del male, di aiutare il prossimo. («Ma che, so’ lo Stato?» protesta però ogni tanto, perchè non soltanto singoli postulanti vanno da lei per essere aiutati, ma anche intere associazioni, famiglie numerose ed ospizi), di non accanirsi mai contro nessuno, fedele al motto che la sua notta romagnola le ripeteva quand’era bambina: «Male non fare, paura non avere».
A questo punto Anna Magnani, che è diventata tutta seria pensando alla sua coscienza, prende dal tavolino che ha davanti una grossa rivoltella di vecchio modello e dal calcio lucente. Ci giuoca un poco appoggiandosela a una guancia e infine con essa si accende una sigaretta (nella canna è infatti nascosto un accenditore).
Poi sguscia dalla poltrona facendo ondeggiare la gran balza arricciata della sua sottana di cotone fiorito, e va a togliere dalla libreria un volume rilegato di cuoio rosso. E’ la Bibbia, che essa trova il libro più emozionante che sia mai stato scritto. «Qui dentro c’è tutto», dice, «e quando sono proprio stanca la sera, me ne leggo qualche pagina prima di addormentarmi».
Da ultimo ha letto anche Il processo di Kafka che le ha fatto un’enorme impressione. Nello scaffale Il processo sta accanto alla Fiorentina di Flora Volpini, altro libro che le è piaciuto perchè lo ha trovato coraggioso.
Mentre parla così, sul suo mobile viso vanno e vengono ombre continue che svelano alla fine la sua più costante espressione: la malinconia. Tanti la credono una donna spensierata, ma basta vederla da vicino per capire che anche il suo sorriso, come la sua voce, è spesso velato.
Anna Magnani va d’accordo con le donne che soffrono per amore, capisce le madri in pena per la salute dei loro bambini, e le ragazze che hanno fame.
I suo personaggi a cui si è affezionata di più sono la moglie di Roma città aperta, la disperata di La voce umana, l’amante di Assunta Spina. Anche la storia di Margherita Gauthier l’ha sempre commossa: ha intenzione infatti, finiti gli impegni cinematografici, di recitare in teatro La signora delle camelie.
Appena uscita dall’Accademia d’arte drammatica di Roma, (recitò al saggio La caccia al lupo di Verga), Anna Magnani entrò nella compagnia Niccodemi con la paga di 25 lire al giorno. Portava il vassoio nelle commedie nelle quali Vera Vergani era prima attrice. «Ero magra come un’acciuga allora, e sempre affamata», dice prendendosi in mano un piede nell’elegante sandalo nero. «Una volta fui cacciata dal palcoscenico, vestita da paggio, mentre si recitava La partita a scacchi. M’impappinai, senza riuscire ad annunciare il conte di Fombrone».
Il matrimonio interruppe per qualche anno la sua carriera teatrale. Anna riapparve nella rivista Milioni, recitò con Bragaglia, in Anna Christie, e in La foresta pietrificata; mise su una compagnia sua con la Maya di Gantillon, recitò Scampolo in romanesco. E il giorno che volle fare del cinematografo, le dissero che per questo non era abbastanza bella nè fotogenica. Ora però in Italia e in America la chiamano soltanto Nannarella e quando va all’estero, l’accolgono con le feste che farebbero a un’ambasciatrice.
«Che ci hai, Nannarè?» le chiesero una sera alcuni romani che fino ad allora l’avevano vista soltanto sullo schermo, incontrandola al ristorante, con una ruga diritta in mezzo alla fronte. E Anna Magnani spiegò loro come un giornalista che non aveva ricevuto, avesse scritto un articolo contro di lei. «Simile a una lupa», diceva, «la Magnani si aggira tra le quattro mura della sua casa». «Ma che te fa, a te?» le avevano risposto quei nuovi amici. «Ma non gli da’ retta. Per uno che scrive così, ce n’hai mille che te voiono bene».
Gran parte del pubblico ha finito col credere che Anna Magnani e il suo personaggio siano tutt’uno; così la vede soltanto attraverso le descrizioni che spesso sono state fatte di lei. «Forse perchè non mi so pettinare, perchè sono impulsiva e perchè amo i cani», dice Anna, angosciata da un ritratto in cui non si riconosce; il ritratto di una donna balzana, tutta istinti, avida e disordinata.
«Ma questi sono particolari, non sono buone ragioni per giudicare una donna», e questo momento colpisce l’atteggiamento umile di Anna che, nel salotto di casa sua, non posa affatto alla signora sdegnata, non recita, ma fa la parte della padrona di casa, un po’ stanca perchè è sera tardi, col viso senza trucco e due patetici cerchi scuri sotto gli occhi brillanti.
Sfilati gli stivali di Anita Garibaldi, s’è messa sulle spalle in questi giorni lo scialle da popolana per girare Bellissima diretto da Luchino Visconti, nel quale fa la parte di una madre che vuole avviare per forza la sua bambina alla carriera cinematografica.
Mentre in agosto sarò tutta lacera, come cantante da strada nel film Aria di Roma diretto da Zampa; e la trama, quasi una fiaba, è venuta in mente proprio a lei. Via gli stracci in settembre, perchè in quel mese sarà la Perichole nel film La carrozza del Santissimo Sacramento per la regia di Renoir; e la sua pelle color perla si adatterà benissimo ai ricchi abiti di raso, ai neri e lucenti merletti che ornano la scollatura della bella cantante di Lima, amante del Vicerè del Perù.
Rarissimi quindi i giorni di riposo, da ora ad ottobre, dice Anna Magnani, che essa dedicherà tutti a far compagnia a Luca, il suo bambino di otto anni, un bimbo allegro, che canta tutto il giorno, «l’unico uomo», aggiunge con un sorriso che è dolce e patetico insieme, «che mi ha sempre trovata bella».
C. Cederna
(foto di copertina Herbert List)