Anna Magnani, appena tornata dagli Stati Uniti, ha raccontato alla nostra inviata la sua ultima esperienza cinematografica. Circa i suoi progetti futuri, ha detto: “Se capitasse l’occasione, farei volentieri un film con Rossellini”
Ogni ritorno di Anna Magnani dall’America è chiassoso.
Il porto di Napoli si anima e le grida della folla s’incrociano intorno alla nave carica di italiani d’America, naturalmente tutti vestiti di nero, che si baciano come collegiali nel giorno della premiazione, e di signore americane dagli inverosimili cappelli.
Pettinata più che mai alla dottor Jekyll, in pantaloni, le scarpette piatte, l’attrice si attarda a salutare un prete irlandese, somigliante a Charlie Chaplin vent’anni fa.
«E’ un prete straordinario», mi dice in seguito. «E’ diretto in Israele dove va a insegnare l’ebraico antico, pensa!, ma gioca e si diverte come un bambino. E’ venuto a tutte le feste di bordo e in piscina dominava nettamente la folla dei ragazzi che invitava nell’acqua, proclamando che lui era Nettuno. A me i preti piacciono così: che abbiano l’aspetto qualunque e ti facciano sentire più vicino a Dio. Questo beveva, fumava e, come me, detestava un cantante che urlava tanto che poi dovevamo prendere i tranquillanti».
Mentre Anna trasmette per radio il suo saluto agli ascoltatori italiani, suo figlio Luca guarda da lontano questa terribile mamma sempre contesa a tutti e sfilano i suoi ventotto bagagli, in grande groviglio.
Seguono il bagaglio di una bassotta a pelo lungo, una gattina persiana rosa e un cesto di banane delle Canarie. Anche contro la sua volontà, assistiamo al ritorno di una diva.
La sosta a Formia per la colazione è piena di notizie soltanto per lei. Tutti i suoi animali stanno bene, la tartaruga è ancora sveglia, il sacrificio di due stanze del suo appartamento per creare un’immensa e luminosa cucina ha dato ottimi risultati. Poi la preoccupazione di Anna si sposta sulle galline.
E’ molto difficile farla parlare della sua vita americana.
Dal finestrino della macchina riprende contatto con l’Italia dopo cinque mesi di assenza. E’ tanto felice di essere qui e lo ripete mentre si stende come una gatta assonnata, assaporando il riposo.
«Io amo molto l’America», dice, «ma non posso seguire il ritrmo frenetico della vita americana. A Nuova York non è mai notte e a volte pensavo con accoramento al silenzio di Roma, alla sua solitudine verso le ore dell’alba. Per me la libertà e il riposo sono in Italia».
Per la fretta di ritornare è partita il giorno dopo la fine della lavorazione del film. Ha cominciato a guardare i bagagli vuoti alle sei del pomeriggio, con grande apprensione, e soltanto all’una di notte si è messa a riempire quei terribili ventotto colli che sulla strada traballano davanti a noi nel rimorchio della jeep verde che le regalò i l suo produttore americano e che Anna chiama “la ranocchia”.
«Sono molto stanca», dice Anna, «e non sono altro che un lungo riposo a San Felice, sola con mio figlio. Non voglio avere pensieri, non voglio preoccupazioni fino al momento in cui incomincerò a girare il film italiano».
In questo film italiano, al quale Anna tiene moltissimo, diretto da Mario Monicelli su soggetto di Alberto Moravia e intitolato Risate di gioia, la Magnani uscirà dai suoi personaggi tragici. E il pensiero di dar vita ad un’azione comica la eccita e la diverte perchè la riallaccia al ricordo delle sue trionfali riviste.
The fugitive kind, tale è il titolo inglese del film che ha girato in America e che sarà tradotto in italiano L’Orfeo disceso (n.d.r. Pelle di serpente), ha richiesto un grandissimo sforzo da parte di Anna.
Si tratta del dramma più importante, più impegnativo e più difficile che abbia scritto Tennessee Williams e la Magnani si è trovata davanti a una nuova costruzione delle frasi, in un clima spirituale di altissima poesia.
«E’ stato molto duro lavorare durante l’estate di Nuova York. Noi giravamo in un teatro caldissimo che anticamente serviva per i film comici, quelli che finivano a torte in faccia. Il caldo ci schiacciava e non ti dico come ci vestivamo e come si vestiva Marlon Brando. Nessuno può immaginare che cosa sia l’estate newyorkese. Sembra di vivere nel fuoco e neanche al notte porta sollievo. Da una finestra del mio appartamento, all’Hampshire House, passavo ore a guardare il Central Park e la città che navigava tra le infinite luci che ne stagliavano i contorni. Avevo la sensazione di volare».
“Non sono in casa”
L’appartamento di Anna, in America, somigliava alla sua casa romana perchè l’intimità, per la Magnani, deve esser fatta di cose sempre uguali: la fotografia di Luca con il volto gocciolante di acqua di mare, quella della nonna che l’ha allevata e che lei ha adorato e le infinite piccole cose che i suoi amici ritrovano dovunque e che riempiono i suoi bagagli, in partenza, con il solo incarico di tenerle compagnia. Perchè Anna, per elezione, è sola.
In America, come in Italia, i suoi amici non sono che quattro o cinque: Tennessee Williams, Natalia Danese, Irene Lee, Frank Merlo e John Nicholson, che l’ha seguita fino a Roma. Naturalmente gli incontri con i più grandi attori, con scrittori e giornalisti sono molto frequenti, ma restano avvenimenti mondani perchè il giorno seguente “Mrs. Magnani non è in casa”.
Il destino di non trovarla è capitato anche a Perry Como, l’idolo degli americani, il quale la cercava per presentarla nel suo show. Una prima telefonata da parte della sua segretaria restò infruttuosa. «Dica che non sono in casa, signorina». A questa sono succedute telefonate su telefonate che ebbero la stessa sorte fino a che una sera, emozionatissima, la centralinista annunziò ad Anna Perry Como in persona. «Dica che non sono in casa», rispose la Magnani fermamente. «Ma è proprio lui, è proprio Perry Como in persona», insistette la ragazza. «Non sono in casa lo stesso», ripetè la Magnani.
Anna ha una scarsa comprensione dei desideri altrui quando si tratta di salvaguardare la propria libertà.
Tennessee Williams è il suo amico di tutte le ore e le scrive lettere di una bellezza straordinaria quando è lontano. In America, ormai, tutti sono abituati a vederlo insieme alla Magnani, lui distratto, lei attenta, lui servizievole come un cavaliere antico. Soltanto chi ha vissuto accanto a loro due conosce la stranezza dei loro discorsi, la poesia e il senso dell’umorismo che nascono dalle loro parole.
«Guarda», mi dice Anna mostrandomi una cosa che sembra un ombrello incartato in una carta d’altri tempi cosparsa di viole del pensiero: «questo è un ombrellino da sole che mi ha regalato lui perchè mi riparasse dal terribile sole di Nuova York. Me lo sto trascinando dall’America, quest’ombrello da vecchia signora. Ma che vuoi mai? Mi ha tanto commossa!».
Effettivamente Williams le ha creato una preoccupazione perchè durante tutto il viaggio la sistemazione dell’ombrello ha avuto una parte importante quanto quella degli animali.
Quando, dopo aver visto girare le scene più importanti del film, Tennessee, seguendo il suo naturale istinto di nomade è partito per il Giappone, Anna si è comperata una gattina preziosa che porta l’impegnativo nome di “Lady”, la stessa che ora miagola e si arrampica ovunque, terrorizzata dalla corsa della macchina.
Negli animali, nella loro innocenza, nel loro bisogno di protezione la Magnani trova una sosta nel tumulto della vita. E’ molto difficile farla parlare durante il viaggio perchè Lady deve mangiare e Lillina, la bassotta a pelo lungo, deve scendere.
Il corteo delle macchine arriva a Roma sotto un’acqua torrenziale. «Questa figlia di cane di Roma», dice Anna nel cortile del palazzo dove abita. Ma lo dice come si direbbe di un parente, perchè Roma le somiglia. Contro questa città fiera del suo ramo di pazzia, che corrompe e dissolve, la Magnani ha lottato strenuamente e ha vinto. Oggi i romani l’amano e l’accolgono come una figlia.
«Bentornata Anna», le dicono da ogni parte. E Anna trova la sua casa letteralmente piena di fiori.
Tra i doni che le hanno mandato gli amici e la gente sconosciuta per augurarle il bentornata, un pappagalletto petulante occupa un posto di comando. E’ il regalo della sua cameriera che la strappa a tutti per mostrarle la cucina nuova.
«Un altro animale!», dice Anna pensierosa. Ma già si distrae per decidere una gabbia più grande con l’altalena, lo specchio e una campana. Riafferrarla è un’impresa da prodi. Anna si difende selvaggiamente contro l’alterazione della sua atmosfera vitale; Anna è come gli industriali che in casa non vogliono sentir parlare di lavoro. Tuttavia il discorso, portato su Marlon Brando, la conquista.
Le rose di Marlon Brando
«Marlon», dice, «è un grosso bambino che sa diventare un temporale nero. Mi somiglia talmente che ho paura a giudicarlo. E’ un artista nato e quando si presenta in scena con il suo viso, il personaggio è nato. Un giorno in cui era molto svogliato gli dissi: “Marlon, se mi butti giù non te la perdono perchè tu hai una faccia che ti salva sempre, mentre gli altri debbono crearsela e faticare”. E’ tanto buono, però. Il primo giorno della lavorazione del film mi fece trovare in camerino un grande fascio di rose, generando sorpresa in tutti perchè era la prima volta, nella sua vita, che compiva un gesto simile. In seguito, in omaggio a me, non è mai arrivato in ritardo. Eravamo molto affiatati e Lumet, il giovane e intelligente regista che ebbe tanto successo con il film, La parola ai giurati, ci ha sempre lasciato la più ampia libertà nelle scene che giravamo insieme. Fuori dal set Marlon e io non potevamo vederci a causa della vita faticosa alla quale eravamo assoggettati. Ci alzavamo tutte le mattine alle sei e alle nove di sera eravamo già a letto. Anche il sabato e la domenica, i due giorni di libertà che hanno gli attori in America, non vedevo Marlon perchè lui impiegava tutto il tempo libero per andare a vedere il figlio a Los Angeles che è a nove ore di volo da Nuova York».
Le sue compagne di lavoro le hanno lasciato un ricordo di grande dolcezza. Joan Woodward, che come lei e Brando ha vinto un Oscar, è un’attrice bravissima e di carattere piacevole. Maureen Stapleton, che è stata per lungo tempo l’interprete del dramma di Williams in uno dei più grandi teatri di Nuova York e che è reputata una delle più grandi attrici di prosa, ha detto alla Magnani di aver accettato una parte secondaria nel film per poter lavorare accanto a lei.
Durante le dieci settimane della lavorazione, gli americani aspettavano le inevitabili complicazioni che sorgono sempre in un cast così importante; invece, la più grande intesa ha reso l’atmosfera serena e il lavoro meno estenuante. Il film, il cui soggetto è stato scritto da Williams per la Magnani e per Brando, ha suscitato l’entusiasmo di coloro che l’hanno già veduto e Anna stessa ritiene che si tratti del suo miglior lavoro, nonchè di un film in cui appare un Brando inedito e meraviglioso.
«I giornali dicono sempre soltanto quello che vogliono», mi dice mentre parliamo ancora di lavoro, «ma non c’è nessun progetto di film tra me e Rossellini. Il successo del suo Il generale della Rovere è arrivato in America come in tutto il mondo e io ritengo che l’abbia meritato perchè è veramente un grandissimo artista. Perciò, se ne capitasse l’occasione, farei volentieri un film con lui e credo che Roberto sia del mio stesso parere».
E. Monti
(grazie a Daniele Palmesi)