Il personaggio che Anna Magnani ha creato nella “Rosa tatuata” è qualcosa, ha scritto uno dei massimi critici americani, che si incontra una volta sola in una generazione.
Alcune sere fa in uno dei più grandi cinematografi di New York, l’Astor Theatre, ci fu una “prima” d’eccezione.
Venne presentato il film “The rose tattoo” (La rosa tatuata), tratto dal dramma di Tennessee Williams. Una “prima” cinematografica, a New York, rappresenta uno dei massimi avvenimenti mondani.
Molte dive si trasferiscono in aereo da Hollywood per parteciparvi, e i nomi famosi si contano a centinaia, come le pellicce di visone, le stole di ermellino, i mantelli di candido breitschwantz. I biglietti d’ingresso, che vanno sempre a beneficio di qualche opera di assistenza, costano cifre iperboliche. E c’è anche chi paga il doppio, il triplo del prezzo normale, pur di non mancare all’avvenimento.
Per dare una idea diremo che alla “prima” della “Rosa tatuata” facevano da maschera all’Astor Theatre, e accompagnavano molto gentilmente al loro posto gli spettatori, nientemeno che Marilyn Monroe e Marlon Brando.
In sala c’erano tutti i nomi più celebri del mondo artistico, teatrale, cinematografico d’America. E fu veramente una serata memorabile, con applausi a “schermo aperto” alla protagonista del film, la quale alla fine si ebbe un’ovazione che sembrava non dovesse finire più.
La protagonista di “The rose tattoo” è Anna Magnani. I critici americani hanno scritto della sua interpretazione tutto il bene possibile.
Giornali della massima serietà hanno parlato addirittura di “trionfo”. Uno dei critici più importanti ha detto che il personaggio creato dalla Magnani in questo film «è qualcosa che si incontra una volta sola, in una generazione». Altri hanno fatto, come paragone, il nome di Greta Garbo, l’attrice che, finora, era rimasta unica nella storia del cinema mondiale.
Marilyn Monroe, interrogata alla fine dello spettacolo da un giornalista che le ha chiesto a bruciapelo: «Che cosa ne pensa della Magnani?», ha risposto: «Divina, semplicemente divina».
Già si parla di Anna Magnani, del resto, per l’Oscar da assegnare alla migliore attrice dell’anno.
“… il resto debbono dirlo gli altri”
Alla recente, memorabile serata all’Astor Theatre di New York, Anna Magnani, però, non c’era. Nonostante i ripetuti inviti dei produttori e del regista, ha preferito rimanere a Roma.
Si è chiusa in casa, all’ultimo piano di un antico palazzo seicentesco, non ha concesso interviste, non ha voluto vedere nessuno. Ancora una volta quello che gli altri definiscono “smisurato orgoglio” ha avuto manifestazioni esteriori molto simili alla timidezza.
E’ certo che Anna Magnani non andrà in America neppure per partecipare al “battage” pubblicitario cui si assoggettano di solito, e di buon grado, tutti gli attori e le attrici in predicato per il massimo premio della critica cinematografica. «Se me lo merito davvero questo Oscar», dice, «me lo daranno anche senza che faccia un viaggio fin laggiù per mettermi in vetrina. E se no vorrà dire che c’è stata un’altra più brava di me».
Che è brava, che è grande, in America glielo hanno già detto tutti. Dopo la visione privata del film (che avvenne quando lei era già partita, perché anche allora non aveva voluto essere presente) il regista, Daniel Mann, le scrisse una lettera commossa.
L’ultima frase era questa: «Il mio profondo affetto e la mia ammirazione per la tua arte saranno condivisi dal mondo intero». E il famoso magnate del cinema Adolph Zukor, il fondatore della Paramount, è stato ancora più chiaro. Le ha scritto testualmente: «Soltanto dalla Duse ho visto roba di questo genere».
Non è facile, però, far ammettere alla Magnani queste cose. Ha un pudore del proprio successo e una misura nel parlare di sé, e del proprio lavoro, che sono la prima dimostrazione della sua intelligenza e della sua grande sensibilità. «Io posso dire solo come ho lavorato. Ma il resto debbono dirlo gli altri», spiega.
Forse, però, ora le dispiace di non essere stata a New York e di non avere assistito personalmente al proprio trionfo. Perché nonostante la lunga carriera ed i molti successi e nonostante la sua aria così sicura e leggermente scettica, Anna Magnani è una donna capacissima di mettersi a piangere dalla gioia, di non saper frenare la commozione.
Ma queste cose le sanno soltanto gli amici-amici, i pochissimi che Anna ha scelto vent’anni fa e che sono ancora gli stessi, né uno di più né uno di meno.
Può darsi che ogni tanto qualcuno stia per un po’ di tempo senza telefonarle o senza dare notizie di sé. Vuol dire che è successa una cosa semplicissima. Quella persona, cioè, per necessità, per affari o per un motivo sentimentale, si è messa a frequentare gente e ambienti che ad Anna Magnani non vanno a genio. E l’amicizia di Anna Magnani ha una regola assoluta: o lei o gli altri.
Questo non vuol dire che lei si arrabbi se qualcuno, per un tempo più o meno lungo, la pensa diversamente. «Quando ti sei stancato», dice all’amico che ha preso un’altra strada, «torna pure da me». Perché, a chi vuol bene, Anna perdona tutto tranne una cosa: che si tradisca la sua amicizia, che si cerchi di ingannarla.
” … ma io non sono Bette Davis”
Gli amici che ha da vent’anni saranno in tutto cinque o sei. Ma difficilmente si trovano a casa sua tutti insieme perché la Magnani, quando è “in privato”, non sopporta di avere intorno più di due o tre persone. Con queste è capace di conversare ore e ore, anche una notte intera senza mai annoiarsi o sentire stanchezza.
A Hollywood trovarono questa sua resistenza fisica alla fatica addirittura “impressionante”. E Anna Magnani, considerata a Roma una donna la cui pigrizia è quasi proverbiale, si divertì molto a fare la parte della donna attiva, sempre sveglia, sempre puntuale. Ci si mise, anzi, con tanta buona volontà e tanto puntiglio, da imparare davvero.
Racconta che si alzava alle sette del mattino. E chi la ascolta non sempre è disposto a crederle, sapendo che uno dei suoi vizi più grandi è proprio quello di dormire.
Ma Anna Magnani spiega che la comprensione, la gentilezza, la solidarietà, l’emozione quasi, dimostratale dal produttore, dal regista, dagli attori e fin dagli operai della troupe valevano il sacrificio della sua pigrizia. La puntualità era l’unica cosa che la gente del cinema americano le avesse domandato in cambio delle premure di cui la colmavano. E Anna Magnani fu contenta di diventare una donna puntuale.
Per il resto fece sempre di testa sua e nessuno le disse mai nulla, o avanzò mai la più piccola obiezione.
Prima di partire per Hollywood, Anna ci aveva molto pensato. Le piaceva l’idea di andare a fare un film in America, le piaceva il soggetto (Tennessee Williams, del resto, aveva scritto “La rosa tatuata” per lei, e pensando a lei; questo tutti lo sapevano). Era anche contenta che un produttore americano fosse venuto a cercarla e le desse la sua fiducia.
Eppure aveva molta paura.
Ricordava come le era sembrato difficile e strano il modo di vivere e di lavorare degli americani, quando era stata a New York nel 1953, per la presentazione di “Bellissima”. Ricordava lo sgomento da cui era stata assalita molte volte perché non ce la faceva a “seguire il ritmo”.
Ricordava soprattutto la lunga conversazione che aveva avuto con Bette Davis, quando aveva fatto visita alla grande attrice, ancora costretta a letto perché convalescente da una malattia.
Avevano parlato, naturalmente, del loro lavoro. E la Davis le aveva detto della mancanza di libertà artistica che ha un’attrice in America, gliene aveva parlato in tono di grande rammarico anche se, personalmente, la cosa non la riguardava poiché Bette Davis fa le parti che ama e che sente, e soltanto quelle. «Ma io non sono Bette Davis», diceva Anna Magnani agli amici che insistevano perché accettasse l’invito a Hollywood.
Appena arrivata, si accorse che gli americani la consideravano almeno alla pari con la Davis.
Serafina, il personaggio principale della “Rosa tatuata”, Anna Magnani l’ha interpretata, infatti, come ha voluto lei. Cominciò subito, la prima mattina di lavorazione. Era arrivata puntualissima agli studi, alle otto precise, come c’era scritto sul contratto.
Nel camerino trovò ad aspettarla il truccatore.
«Chissà perché, trattandosi di un truccatore di Hollywood, pensai subito a ciglia finte, a labbra artificiali e a chissà quali altre diavolerie posticce: un mucchio di cose che non avrei mai potuto sopportare. Allora con il mio sorriso più gentile gli dissi: “La ringrazio tanto di essere venuto e di volersi occupare di me. Ma tutta la sua arte non servirebbe mai a rendermi diversa da quella che sono. È meglio, dunque, che faccia da sola”».
Era un discorsetto cortese, ma per le regole inderogabili di Hollywood (quelle di cui le aveva tanto parlato Bette Davis) si trattava di un atto di ribellione bell’e buono.
Eppure non accadde nulla, il regista non protestò, il direttore di produzione non disse nulla, nessuno sembrò accorgersene. E Anna Magnani, per tutte le diciannove settimane in cui durò la lavorazione del film, si truccò da sé, come meglio credeva.
Il che significa che non si truccò quasi per niente. «La mia faccia è quella che è», spiega; «è inutile tentare di cambiarla, di imbellirla. Riuscirebbero soltanto a farmi diventare ridicola».
“… vogliamo la, non una Magnani”
Anna Magnani è una donna che ha rinunciato a molte cose nella sua vita, ma che ne ha conservate gelosamente, accanitamente una: il diritto alla propria libertà.
Una cosa sola le preme: essere Anna Magnani, sempre e solo Anna Magnani. E chiunque le chiede di rinunciare a questo suo diritto cessa automaticamente di esserle amico.
Per questo il produttore della “Rosa tatuata”, Hal Wallis dimostrò di aver capito molte cose, quando, accogliendola al suo arrivo a Hollywood, le disse subito, per prima cosa: «Mia cara, si ricordi di una cosa; noi vogliamo che l’interprete del film sia la Magnani, non una Magnani qualsiasi fabbricata qui». Anna si comportò in conseguenza. E ora dicono che ha fatto un capolavoro.
Nessuno e nulla, del resto, sono mai riusciti ad imbrigliarla, a farla parlare quando lei non ne ha voglia, a farla sorridere se è di cattivo umore, a essere gentile con una persona se questa le è antipatica, a cambiare la pettinatura, a vestirsi con ricercatezza.
Anna Magnani è sempre stata così, sarà sempre così. Ora sappiamo che nemmeno Hollywood è riuscita a cambiarla. E anche questo è un titolo di merito.
Lei stessa dice che nella mecca del cinema, se si vuol diventare o rimanere qualcuno, bisogna essere dotati di grande personalità. Altrimenti si rischia di rimanere stritolati.
A lei, invece, è accaduto proprio il contrario: qualche volta persino il regista si faceva trascinare dai suoi entusiasmi, dalle sue “intuizioni”.
Durante la ripresa di una scena brillante, per esempio, Burt Lancaster (il protagonista maschile del film, definito dalla Magnani “il compagno di lavoro ideale”) fu preso ad un certo punto, inspiegabilmente, da un eccesso di ilarità.
Trascinata da quella risata contagiosa, anche Anna Magnani si mise a ridere e per qualche minuto andarono aventi così, un po’ alla garibaldina, divertendosi a recitare come se giocassero.
Quando finalmente riuscirono a ricomporsi, si accorsero che attorno a loro tutti avevano smesso di lavorare e stavano in cerchio, registi, operatori, macchinisti, assistenti, elettricisti, a guardarli. Scoppiò un lungo applauso.
Allora la Magnani ebbe un’idea. «Così dobbiamo girarla», si mise a gridare, «così».
Daniele Mann le diede ragione e la scena che vedremo sullo schermo è esattamente come l’ha voluta Anna Magnani.
E la Serafina che vedremo sullo schermo è anche lei, Anna Magnani, con i suoi capelli sempre spettinati, con i suoi occhi sempre in battaglia, con la sua verve sempre pronta e con quella mimica spettacolosa per cui si possono leggere sul suo viso, anche senza sentirla parlare, tutte le emozioni e tutti i sentimenti.
Una volta Anton Giulio Bragaglia disse che la Magnani è tanto brava, tanto attrice che le si può affidare qualsiasi parte, sicuri che la interpreterà come deve essere interpretata.
«Può fare quello che vuole, la regina e la serva, la vecchia e la bambina; tutto può fare, assolutamente tutto». E Anna Magnani, che ha un enorme rispetto per il proprio lavoro, ma che non ama prendersi troppo sul serio, ribatté a chi glielo raccontava: «Infatti, nel mio prossimo film farò Cavour».
Era soltanto una battuta, ma a Anna Magnani piacciono le battute, come piace la gente che sa raccontare storielle allegre. Dicono che sia una donna infelice. Ma probabilmente non si tratta esattamente di questo.
Anna Magnani non ha avuto una vita facile, ha probabilmente delle ragioni di infelicità; ma è troppo attaccata alla vita, troppo sensibile a tutto quello che succede intorno a lei per essere veramente infelice. Le hanno domandato una volta se c’è qualche cosa che potrebbe farla rinunciare al suo lavoro, alle soddisfazioni che questo lavoro le dà. «Si, mio figlio».
Forse solo allora è veramente felice
Per suo figlio, invece, dieci anni fa continuò a lavorare anche se non ne aveva più nessuna voglia, le sembrava che nulla più contasse al mondo e che tutto ormai fosse crollato intorno a lei.
Stavano girando, da appena una settimana, “Roma città aperta”. Il figlio della Magnani aveva due anni e mezzo. Era un bellissimo bambino grasso, con la pelle bianca e rosa, sempre in movimento, sempre allegro. Si ammalò, improvvisamente. Gli venne una gran febbre.
I medici dissero che si trattava di paralisi infantile. Dissero anche che forse non avrebbe camminato mai più.
Anna Magnani abbandonò il lavoro, disse che non avrebbe più recitato. Si convinse soltanto quando le dissero :«Fallo per tuo figlio. Ora avrà bisogno di tante cure; occorreranno tanti denari. Devi assolutamente lavorare».
Da allora Anna Magnani ha sempre fatto tutto per Luca, per il suo ragazzo, che è bello e intelligentissimo, ma non può correre come gli altri ragazzi.
Per Luca ha cercato di essere brava, il più possibile; per Luca ha voluto guadagnare molto denaro; per Luca ha comperato una villa solitaria a picco sul mare, al Circeo. In questa casa circondata dal mare e dal silenzio, senza telefono, e lontana da qualsiasi strada praticabile, Anna Magnani va a ritirarsi quando vuol essere in pace, quando è stanca, quando è annoiata.
Luca ha, come sua madre, la passione del nuoto. Stanno in acqua insieme molte ore al giorno e la Magnani inventa ogni sorta di giochi pur di vedere allegro suo figlio. In quei momenti è diversa da sempre, diversa da come la conoscono gli altri, anche i suoi amici. Forse solo allora è veramente felice.
Anche a Roma ha cercato una casa che fosse il più possibile silenziosa e lontana dal mondo. Abita in un attico, nel cuore della vecchia Roma, della “sua” Roma, come lei la chiama, anche se è nata in Egitto e sua madre era romagnola.
La prima volta che andò in America, nel ’53, scoprì che la chiamavano “la tigre del Tevere”. In principio ci rimase male, perché le sembrava che quel paragone con una belva fosse del tutto inadatto. Ma poi, quando fu tornata a Roma, nella sua casa in Trastevere, ne fu contenta. Ripeteva la frase tra sé, la assaporava. «Hanno capito anche loro che il mio mondo è qui», disse alla fine, soddisfatta.
Da terrazzo che corre intorno a tutto l’appartamento della Magnani, si vedono, di Roma, i tetti e le cupole.
E ci sono delle sere, al tramonto, in cui Anna sta incantata a guardare questo panorama, senza rispondere se la chiamano, senza distaccare gli occhi. Sta abbracciata a Micia, la cagna lupo che è la sua compagna si sempre.
Anna Magnani passa molto tempo in casa. Ha molti libri, una infinità di dischi (musica classica e jazz). In salotto, che è poi una stanza con comode poltrone, le pareti coperte di librerie, un caminetto acceso subito ai primissimi freddi e dei cuscini messi in terra, c’è anche un pianoforte. Quando le prende l’entusiasmo Anna si mette al piano e canta a mezza voce tutte le canzoni che sa, quasi tutte in romanesco, quasi tutte un po’ sentimentali.
Nel diario che scrisse per un giornale dopo il suo primo viaggio in America raccontò che anche a New York, una sera, dopo essere stata a cena con un gruppo di giornalisti italiani suoi amici, li invitò tutti in albergo, nel suo appartamento.
Anche lì c’era un pianoforte, che la Magnani aveva barattato con un televisore (“assolutamente inutile, perché tanto io non so l’inglese, e vedere della gente che si agita senza capire quello che dicono darebbe fastidio”, disse allora).
Rimasero tutti alzati fino all’alba, tutti intorno al pianoforte che Anna strimpellava cantando, con le lacrime agli occhi, “Quanto sei bella Roma”. Era stata la sua prima canzone, quella che aveva cantato sui palcoscenici romani, quando aveva debuttato nella rivista. Ogni volta che la sente, Anna Magnani si commuove. Come si commuove quando deve parlare in pubblico.
Sempre in America è accaduto che, a una cena offertale dai critici dei maggiori giornali di New York, tutta gente serissima e compassata, alla fine la sala del banchetto fu invasa dai cuochi e dai loro aiutanti, tutti emigrati italiani.
Volevano che la Magnani facesse un discorso, dicesse qualcosa dell’Italia. Anna si alzò in piedi, chinò la testa per trattenere le lacrime (lo ha raccontato lei) e allora intorno a lei si fece un gran silenzio.
Tutti aspettavano di sentire la sua voce. Ma la Magnani scoppiò invece in singhiozzi, turbata da quel silenzio, da quell’accoglienza. Pianse con le mani sul viso, senza più curarsi di nessuno.
E quando finalmente poté alzare gli occhi si accorse che anche molti dei severi critici americani erano commossi. Uno le disse: «Lei è una donna meravigliosa».
B. Micheli