Negli anni che seguono il grande trionfo nei teatri di tutto il mondo con “La Lupa” e “Medea”, la Magnani si lascia convincere da Alfredo Giannetti alla realizzazione di un ciclo di film destinati al circuito televisivo.
“L’automobile” (1971), l’ultimo lungometraggio della Magnani, è un film curioso e amaro, a tratti spietato.
La protagonista, Anna Mastronardi (Anna Magnani), conosciuta come “la contessa“, è una ex prostituta (ormai in là con gli anni) che vive con inquietudine i cambiamenti della società in una Roma convulsa e frenetica.
Nel tentativo di dare un senso a quella vita solitaria e senza legami, Anna decide di prendere un’importante decisione: comprare un’automobile. Quel mezzo le appare come un vessillo di autonomia e indipendenza, quasi di realizzazione personale.
Decisa ad attuare quel proposito, ma inesperta della guida, chiede aiuto ad un caro amico, Gigetto (Vittorio Caprioli), perseguitato dai “buffi” e con una difficile situazione matrimoniale.
Gigetto, dapprima non convinto, si rende ben presto conto che Anna parla sul serio e decide di aiutarla e sostenerla, facendole fare delle guide con la sua macchina, vecchia e ormai da buttare.
I due, legati da un profondo e sincero affetto, si ritrovano quindi a vivere rocambolesche avventure fino al giorno dell’esame di guida, quando Anna finalmente riesce a conseguire la patente (rilasciata, forse avventatamente, da un ingegnere ex cliente).
Ora può finalmente comprare la macchina che desidera, una Fiat 850 Spider gialla e scorrazzare per Via Veneto, felice e soddisfatta.
Ma Via Veneto non è più quella de La dolce vita di felliniana memoria. I tempi e i valori sono cambiati.
La Roma dei primi anni ’70 appare una città spasmodica e perennemente insoddisfatta, ma Anna è sinceramente felice della piccola conquista ottenuta: comincia a prenderci gusto, guida con disinvoltura e acquista tutti gli accessori (anche i più superflui) per “coccolare” quel suo tesoro prezioso (e anche se stessa).
Tutto sembra andare per il meglio, ma una gita ad Ostia sconvolgerà i suoi piani.
Intenta a fantasticare sulle sue prossime vacanze, Anna ha la malaugurata idea di dare un passaggio ad un bel ragazzo dello stabilimento, Lou, e al suo amico, che non avevano altri mezzi per ritornare a Roma.
Ma il giovane, fanatico e spavaldo, malgrado le resistenze di Anna, vuole anche guidare.
La strada che congiunge il mare alla città, la Colombo, è piena di pericoli ma il giovane non se preoccupa affatto, anzi accelera sempre più, quasi a voler dare una sciocca dimostrazione delle proprie abilità alla guida. La folle corsa s’interrompe quando Lou tenta il passaggio di corsia, andandosi a scontrare prima con un’altra macchina e poi finendo fuori strada.
Grande paura ma, fortunatamente, solo lievi ferite. Lou viene trasportato in ospedale, Anna è sconvolta e dispiaciuta per le conseguenze del sinistro. I tanti accorsi a vedere l’accaduto, prima curiosi, si mostrano ben presto scocciati di quell’intralcio stradale: gioca la Roma e c’è urgenza di tornare a casa.
La sequenza si chiude mestamente, con Anna lasciata da sola, seduta sul bordo della macchina capovolta, amareggiata e delusa, che non può fare altro che prendere coscienza della follia collettiva che la circonda (“Ma qua semo diventati tutti matti…tutti matti…”).
Quello de L’Automobile è il ritratto di una donna estremamente emotiva, a tratti ingenua.
Consapevole del tempo che passa e della solitudine che vive, ( “A ‘na certa età che te ritrovi…la solitudine te ritrovi, solo quella”), Anna cerca stimoli per rendere più sopportabile la propria esistenza.
Da “vecchia gloria”, vuole trasformarsi in una puttana borghese con la sua macchina, la sua indipendenza, le sue piccole certezze materiali che nascondono un profondo senso di solitudine. Ma non è una donna pentita, affatto: se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto quello che ha fatto.
È una donna sola e spaventata, che non sa in fondo entrare nei nuovi schemi di una nuova realtà socio-culturale, quale è stata quella dell’Italia degli anni ’70.
Ormai lontani gli anni del boom economico, gli italiani sono costretti a guardare in faccia la realtà, a superare la crisi economica che andava proliferando, ad essere un po’ tutti ancora più individualisti e alienati.
La confusione e la paura regnano sovrane, ogni azione è convulsa e frenetica (sentimenti espressi perfettamente dalle musiche di Ennio Morricone), manca la leggerezza e la quiete che fino a pochi anni prima avevano caratterizzato la vita di una certa classe sociale, assuefatta alla mondanità e alla serenità di vivere.
Anna è un pesce fuor d’acqua, ma non si perde d’animo perché è una donna temprata dalla vita, che ha imparato a farsi poche illusioni e a fidarsi il meno possibile.
Vive sola, in albergo, con i soldi risparmiati negli anni e ha il gusto della buona compagnia. Prima ancora di averla acquistata, fa dell’automobile il centro delle sue attenzioni, qualcosa a cui dedicarsi, qualcosa da accudire, che sia funzionale di riflesso al suo benessere emotivo. Avere una macchina di proprietà rappresenta libertà di movimento, possibilità di viaggiare e conoscere e dare un senso al tempo che scorre.
La Magnani è straordinaria nei panni di questo personaggio complesso, quasi bipolare, e spesso nello spettatore sorge l’idea che le due figure si compensino.
Non è certo un caso nemmeno che le due donne abbiano lo stesso nome. Anche la Magnani, come la protagonista, in quegli anni viveva il suo mestiere di attrice come un’emarginata: il cinema l’aveva accantonata, con grande reverenza e onore, lasciando spazio a nuovi modelli, nuovi volti.
Gli italiani non si riconoscevano più in quel volto tutta grinta e passione, era tempo di un nuovo cinema, di evasione o, all’opposto, di impegno sociale e politico che avrebbe allontanato per sempre dallo schermo la nostra più grande attrice, senza mai tuttavia offuscarne la grandezza.
di Mariangelica Lo Giudice
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