Ritornando al genere comico-sentimentale, Anna Magnani ha voluto al suo fianco un attore che avesse “gli occhi ricci e lo sguardo ondulato”. E ha scelto l’italo-americano Ben Gazzara.
Roma, maggio
«Qui ci vuole» disse Anna Magnani «un attore con gli occhi ricci.» Il regista Mario Monicelli la guardò. «Con gli occhi ricci?», ripetè perplesso. «Con gli occhi ricci e lo sguardo ondulato», precisò l’attrice.
Stavano parlando del protagonista di Risate di gioia, di colui che, accanto a lei e a Totò, avrebbe dovuto impersonare Lello, borsaiolo simpatico e sfortunato.
Per ragioni commerciali, il produttore Goffredo Lombardo voleva un attore americano e Monicelli si consultava con la Magnani per vedere se dalla sua conoscenza di Hollywood poteva venirgli un suggerimento.
Questo discorso ebbe luogo qualche settimana fa.
Ora, occhi ricci e sguardo ondulato, cioè occhi che s’increspano ridendo, sguardo perfido e beffardo, è arrivato a Roma, Ben Gazzara, il Cadetto corrotto e perverso di Un uomo sbagliato, l’ufficiale sfuggente e ipocrita di Anatomia di un omicidio.
«Mo’» gli ha detto la Magnani «te devi imparà a fa’ la lenza.»
Ancora inesperto del romanesco, Ben Gazzara ha chiesto lumi. E la Magnani gli ha spiegato che una «lenza» è in americano un «rogue», un simpatico mascalzone.
Per imparare a fare la lenza, Ben Gazzara si è messo i vestiti che indosserà nella prima parte del film e, in camicia blu senza cravatta, panciotto rosso, scarpe a punta quadra, va in giro che sembra un signorino in vena di stranezze.
Vuole stazzonarli un poco e sentirvisi a suo agio.
Inoltre, a completare la sua preparazione al personaggio, ha chiesto di conoscere un vero borsaiolo.
Risate di gioia, da un racconto di Alberto Moravia, è il suo terzo film.
Come si vede, non si è lasciato sedurre troppo dal cinema. In compenso, ha recitato molto per il teatro e per la televisione.
Artisticamente, appartiene a quello stesso mondo intellettuale newyorkese da cui provengono la maggior parte degli attori, dei registi e degli scrittori americani affermatissimi negli ultimi dieci anni.
Studiò un anno al Dramatic Workshop di Irwin Piscator, successivamente passò all’Actor’s Studio che, del resto, ancora di tanto in tanto, frequenta come un atleta frequenta la palestra.
Incominciò a recitare da ragazzo nel teatrino di un Boys Club non lontano da casa. «Così non sta in mezzo alla strada», diceva contenta la madre, nata a Castrofilippo. «Basta che non trascuri lo studio», borbottava il padre, nato a Canicattì.
Papà Gazzara lavorava sodo, sapeva fare di tutto. Cambiava mestiere secondo il vento: se c’era bisogno di muratori faceva il muratore, se di carpentieri il carpentiere. Faceva anche il vetraio e il fabbro. Non si arrendeva mai, guardava la vita con ottimismo.
Si preoccupò solo quando si accorse che Biagio (questo e non Ben è il vero nome dell’attore) deviava dal retto cammino verso una solida professione per frequentare sempre più e con crescente impegno il palcoscenico. Morì senza vedere il successo del figlio.
Ma la signora Gazzara, che ha ora settantaquattro anni e questo successo lo ha visto, non ne è particolarmente impressionata.
Col suo buon senso di siciliana che ha conosciuto quanto, a volte, sia dura la fatica di vivere, sarebbe più contenta di saperlo ingegnere, medico o avvocato, e sposato con una donna capace di essere una una moglie e una buona madre.
D’altra parte, il tipo di donna che Ben può incontrare nel suo ambiente non le dà alcun affidamento. «Hai trent’anni» lo ammonisce «e ti dovresti sposare, ma non con un’attrice.»
In realtà, Ben Gazzara è già stato sposato, all’epoca dei suoi avventurosi contatti col mondo del teatro, quando frequentava gli intellettuali del Greenwich Village.
Dovette essere un periodo pieno di colore e ricco di esperienze: tuttavia, per una qualche ragione, egli non ama parlarne e quel matrimonio giovanile è come cancellato dalla sua memoria.
Da allora non sono passati molti anni, eppure tutto gli sembra lontanissimo, quasi preistorico.
Non frequenta più il Greenwich Village, diventato un pallido riflesso di quello che un tempo lo fecero i veri artisti e i veri scrittori che vi abitavano e vi lavoravano, un angolo pittoresco di New York, il fantasma di un’altra epoca com’è oggi a Parigi l’attuale Saint-Germain-des-Prés rispetto a ciò che fu nel dopoguerra.
Ho conosciuto vari attori formati o perfezionati dall’Actor’s Studio. Alcuni di essi danno l’impressione di essere in uno stato di perpetua angoscia, altri si sentono come condannati a dire cose estremamente intelligenti o hanno l’aria di concedersi nel clima di un costante artificio.
La colpa non è degli insegnamenti ricevuti ma dalla incapacità di assorbirli e di tradurli in termini di tecnica spersonalizzata. Ben Gazzara è, finora, l’unico che mi abbia dato la sensazione di riuscire a mantenere un reale distacco fra la sua personalità d’attore e la sua personalità umana.
Dice: «All’attore occorrono due cose: attitudine e mestiere. La preparazione consiste nel prenderne possesso e nell’imparare a disporne come fa l’atleta con i muscoli, la respirazione e così via». E forse sottintende: «Se il pugilatore non va in giro menando pugni, se il velocista cammina fra la gente come una persona qualunque perchè l’attore deve fare in ogni momento l’attore?»
Ecco, in fondo, il motivo che lo spinge a evitare la compagnia degli attori.« Sono troppo interessati a se stessi» osserva «la loro vanità mi infastidisce, il loro rapportare tutto alla propria persona mi stanca. E’ gente noiosa.»
Si accorge di essere stato troppo drastico e si corregge: «Non tutti, naturalmente». Ma gli chiedo di farmi il nome d’una di queste eccezioni, sta lì a pensare e a ripensare, poi scoppia in una risata e risponde: «Be’, non me ne viene in mente nessuno».
Ben Gazzara non è, dunque, nè un fanatico nè un patito e anzi ostenta una scanzonata indifferenza per tutto ciò che riguarda la sua professione.
Nell’elenco delle sue preferenze, l’amore viene prima del recitare e se ha un flirt non va a mettersi in vetrina per farsi fotografare e dare esca alle cronache.
Del resto, i locali notturni non gli piacciono. A Roma si diverte molto di più a un tavolo di trattoria mangiando e chiacchierando tranquillamente con gli amici.
Ogni volta si accorge con piacevole sorpresa che in questo mondo il tempo passa veloce privo di affanni e di problemi. E’ una scoperta che fece già tre anni fa, quando passò in Italia alcune settimane di vacanza girando per lungo e per largo.
Allora la sua presenza passò inosservata: nessuno lo aveva visto sullo schermo (Un uomo sbagliato fu proiettato la stagione seguente) e il suo nome diceva poco, era arrivato a noi solo traverso gli echi dei successi ottenuti con l’interpretazione teatrale di numerosi lavori tra cui La gatta sul tetto che scotta e Un cappello pieno di pioggia.
Quello di Lello in Risate di gioia è il primo personaggio non drammatico della sua carriera.
Ben Gazzara aspetta la prova con curiosità.
Altro motivo di curiosità e d’interesse è il fatto di recitare a fianco della Magnani, la quale, bionda per l’occasione, torna con questo film al genere comico-sentimentale che aveva abbandonato da lungo tempo.
Si erano conosciuti di sfuggita un anno fa, in un ristorante di New York dove essa pranzava con Tennessee Williams.
In quel momento nessuno dei due pensava che si sarebbero ritrovati un giorno a Roma per recitare insieme; ma quando Ben Gazzara si fu allontanato essa si rivolse al suo caro Tennessee e gli disse: «Curioso, no? Ha gli occhi ricci».
D. Meccoli
(Foto © Tazio Secchiaroli)