Attraverso le parole di chi la conobbe da vicino abbiamo ricostruito un ritratto della grande Anna Magnani. Ne viene fuori un personaggio di donna contraddittorio, contrastato, ricchissimo di sfumature.

Roma, ottobre

Una sera di cinquant’anni fa Silvio d’Amico tornando stanco a casa dopo aver diretto gli esami di ammissione all’Accademia d’arte drammatica Eleonora Duse, dove insegnava storia del teatro, disse al figlio Lele: «Oggi è venuta da noi una ragazza bravissima è un vero talento ma lo non riesco a prenderla sul serio perché è uno “sgorbietto”, somiglia pari pari al patriarca di Gerusalemme».

Quello, sgorbietto era Anna Magnani. La donna che doveva diventare una delle più grandi, forse la più grande, attrice italiana del dopoguerra. Che fosse cosi grande, a dire il vero, prima nessuno lo diceva chiaramente. Si è dovuto aspettare che fosse morta. Per tranquillità.

Eppure di certi elogi, di certi entusiastici apprezzamenti Anna Magnani avrebbe avuto forse più bisogno quand’era ancora viva. Ma tant’è: questo è un paese che abbonda di santi, beatificati post mortem, e di martiri martirizzati in vita. Anna Magnani non è sfuggita alla regola.

Ora che è morta si vorrebbe sapere, come sempre accade, chi fosse veramente Anna Magnani, come donna e come attrice.

Noi abbiamo tentato di ricostruirne un ritratto attraverso le parole delle persone, degli amici che più le sono stati vicini negli anni della sua lunga e tormentata carriera.

Da De Sica, che la diresse net suo primo film, Teresa Venerdì, a Sergio Amidei, che sceneggiò Roma città aperta, da Colette Rosselli a Zeffirelli, che la recuperò, al teatro con La lupa, quando tutti si erano dimenticati di lei, all’amico e vicino di casa Raffaele Jacchia, a Suso Cecchi d’Amico, con la quale lavorò a lungo e che le fu vicinissima nei momenti tragici della malattia.

Per un ritratto completo manca la parola di Roberto Rossellini, l’uomo che più di tutti segnò, nel bene e nel male, la vita di Anna Magnani.

Rossellini lo abbiamo avvicinato durante i funerali dell’attrice. Ma quando ce lo siamo trovato davanti abbiamo visto un uomo distrutto dal dolore. E non ce la siamo sentita di insistere.


VITTORIO DE SICA
Diresse Anna Magnani nel suo primo film importante, “Teresa Venerdì”, nell’ormai lontano 1941. In Teresa la Magnani, che aveva già 33 anni e che fino allora aveva lavorato nella rivista e nell’avanspettacolo, rivelò il suo straordinario talento.

«La prima cosa che conobbi di Anna Magnani fu la sua risata. Un pomeriggio di tanti anni fa. Era, credo, il 1924. Io vivevo allora in una pensioncina per attori che stava vicino al teatro Olimpia, a Milano. Ero agli inizi della mia carriera. Recitavo in quegli anni con Tatiana Pavlova, la mia cara, la mia maestra Tatiana. Eravamo poveri allora. Io campavo con 28 lire al mese e tiravo la cinghia.

Mi ricordo che quel pomeriggio mi ero chiuso in camera a non far niente. Ero steso sul letto a tremare dal freddo e dalla fame quando sentii venir dalla cucina, attraverso i muri, una risata. Era una risata forte, prepotente, dolorosa, una risata quasi feroce che mi ferì i timpani e Il cuore. Mi misi in ascolto.

Quella risata straordinaria si ripeté ancora, tre, quattro volte. Stavo per alzarmi e andare a vedere cosa succedesse quando mio padre entrò nella stanza e mi disse: “Vittorio, vieni di là, in cucina, c’è una ragazza straordinaria che ti voglio far conoscere”.

Lo seguii e vidi questa ragazzina, questo volto segnato, cosi diverso da quello delle ragazze delle giovani attrici che ero abituato a frequentare. Quella ragazzina era Anna Magnani.

Aveva diciassette anni. Ma era già un’eccezione fisica. Gli occhi, i capelli, quelle sue povere gambette scheletriche, tutto era strano, insolito, inquietante in lei. Fu quella la prima volta che ci vedemmo.

Teresa Venerdì Anna Magnani

Poi, negli anni, la persi di vista. Di lei avevo, ogni tanto, notizie indirette. Sapevo che lavorava nell’avanspettacolo con Niccodemi, che faceva la rivista con De Rege, mi arrivavano notizie del suoi primi timidi successi. Ma per anni non la vidi più. Io Intanto mi facevo avanti nella regia, avevo diretto Rose scarlatte e Un garibaldino al convento.

Cosi nel ’41, quando mi accingevo a fare Teresa Venerdì, mi ricordai di lei e la chiamai. Fu Il suo primo vero film. Vederla recitare fu uno spettacolo, un godimento. In Teresa lei faceva la parte della donna gelosa, possessiva, un po’ guitta. Dimostrò tutto intero Il suo straordinario talento.

Forse è vero, come qualcuno ha detto e scritto, che la Magnani non era intelligente, ma aveva un grande, straordinario istinto. Anche Totò era cosi, anche Ruggero Ruggeri, anche Viviani, che era uno scugnizzo.

Era gente che forse non leggeva neanche il copione per intero, ma che si calava completamente, totalmente nel personaggio, lo faceva suo. Del resto i più grossi interpreti di Shakespeare sono del guitti.

L’attore, il grande attore, non è uno che ci pensa tanto su, uno che teorizza. Il grande attore recita. Del resto basta vedere che cos’è successo con il neorealismo. Il neorealismo è finito nel momento in cui ci si è messi a discuterlo, a vivisezionarlo, a cercar per forza del grandi significati.

Anna Magnani non era un’intellettuale, era una forza della natura.

Ti metteva soggezione. Mi ricordo che quando giravamo Teresa Venerdì lei si era accorta di questa sua forza, di questo suo potere, soprattutto nei confronti miei, di me che ero, allora, timidissimo. E si divertiva a sfrucugliarmi.

Mi si piazzava davanti mani sui fianchi e mi diceva “Eh, Vittorio, dì la verità, tu sei un timido. E’ vero che sei un timido?”. E io, rosso come un peperone, “Ma no, che dici Anna, non è vero”.

Anna Magnani Vittorio De Sica

Soggezione Anna me l’ha fatta sempre, anche dopo, anche quando i nostri incontri erano diventati saltuari. Avevo sempre un po’ di timore a parlar con Anna perchè non si poteva mai sapere che cosa potesse ferirla, che cosa le potesse far dispiacere. Era infatti, Anna, sensibilissima, piena di complessi, di ombrosità. Soprattutto ultimamente.

La vita, questa sua vita infelice, colma di dolori, di dispiaceri intimi, i suoi uomini, il figlio malato, l’aveva resa diffidente, sospettosa, le era venuta, alla fine, una vera e propria mania di persecuzione. No, non era una donna facile, Anna.

Con lei dopo la quiete dovevi sempre aspettarti la tempesta.

Mi ricordo che una volta, parecchi anni fa, andai a trovare Anna e Roberto Rossellini all’albergo Excelsior di Napoli. Li colsi in una lite furibonda. Il motivo era questo: lei sosteneva che, in un litigio precedente, Roberto le aveva sferrato una bottigliata, non di dritto, come sosteneva lui, ma di taglio, come diceva lei. E allora era vero che lui, Roberto, la voleva uccidere, era vero che era un criminale.

Ecco, il tenore delle loro litigate era questo, e questi litigi si ripetevano due, tre volte al giorno. Ma perchè tutto questo? Perchè Anna aveva bisogno di dare, di dare, di dare. E riteneva di non riuscire a dare mai abbastanza e di non ricevere mai abbastanza. E questo succedeva con tutti, non solo con i suoi uomini.

Ho ricevuto anch’io, come credo quasi tutti i suoi amici, la mia brava letteraccia di insulti. Fu quando le proposi uno sketch per un mio sfortunato film, Il giudizio universale. Era un film con tanti episodi e io avevo pensato di affidargliene uno in cui faceva la parte di una mamma.

Be’, lei si offese perchè non le avevo dato da leggere anche gli altri sketch. Cosa impossibile perchè non erano stati ancora scritti.

Anna Magnani Vittorio De Sica

Glielo dissi. Ma lei questo non lo capì, non lo poteva capire. Perchè lei, dal suo punto di vista, si vedeva dalla parte della ragione.

Perchè Anna non pensava mai che le cose potessero essere diverse da come le vedeva lei, che si potesse sentire in un modo diverso dal suo. Per questo io non me la sono mai presa per quella lettera.

Lei, per esempio, in quel film, voleva fare la parte di un’adultera. E Anna Magnani invece tutto era fuorché un’adultera. Anna non ha mai avuto degli amori, ma solo delle passioni, forsennate ed esclusive.

Anna era fedelissima e voleva che le si fosse fedeli. Forse è proprio per questo che amava tanto gli animali, i cani soprattutto. Perchè non tradiscono, perchè sono fedeli. Purtroppo questa fedeltà a cui teneva tanto, Anna, nella sua vita, non l’ha mai ottenuta».


SERGIO AMIDEI
Fu lo sceneggiatore di “Roma città aperta”, il film diretto da Rossellini che diede inizio al neorealismo. La Magnani aveva la parte principale, quella di Nannina.

«Si è detto, ripetuto, scritto in questi giorni che Anna Magnani era un’attrice istintiva. Niente di più falso. Anna Magnani non era affatto un’attrice istintiva. Era una professionista di altissima scuola in possesso di una tecnica raffinata. Conosceva il valore di certi “obiettivi”, di certi “campi” molto meglio di tanti registi.

Quante volte l’ho vista dire al regista, che alla fine di una scena aveva gridato: “Bene, benissimo, perfetto”, che non era vero niente e che lei si sentiva di poter fare di più e di molto meglio.

Anche quando leggeva una sceneggiatura, Anna capiva benissimo quello che avrebbe potuto cavare dal suo personaggio e le sue critiche erano sempre straordinariamente puntuali e acute.

Roma Città ApertaQuando, era il ’45, andai da lei in via Amba Aradam dove allora abitava, a sottoporle e a leggerle il copione di Roma città aperta, lei mi disse, me lo ricordo come fosse ieri, e io ricordo tutto, anche quello che altri hanno dimenticato, lei disse dunque: “E’ la storia più bella che io abbia mai letto e che abbia anche mai visto”.

Be’, se devo essere sincero, quella di Anna era una sensazione che né io né Rossellini allora avevamo. Noi facemmo quel film perchè avevamo delle cose da raccontare, certo, ma soprattutto perchè avevamo un gran bisogno di lavorare e di mangiare.

Mi ricordo anche che il personaggio di Nannina, che era stato disegnato e concepito per la Magnani, i produttori avevano deciso di affidarlo a Clara Calamai. Noi protestammo ma i produttori sembravano irremovibili. Fu solo per l’intervento di Peppino Amato che i produttori si arresero e si convinsero ad affidare quella parte ad Anna Magnani.

La scena famosa della morte di Nannina, lei, Anna, la girò, ripetendola più volte, cascando sull’asfalto e sbucciandosi gomiti e ginocchia, dalle undici alle quattro del pomeriggio. La stessa sera era a fare la rivista al Valle.

Questa era Anna Magnani. Altro che attrice istintiva! Una professionista, ecco che cos’era. Tanto è vero che ha creato una scuola, un modo di esprimersi, ha liberato l’attrice di certi tabù, di certe convenzionalità, ha scoperto un nuovo linguaggio.

E cosa è stato in fondo il neorealismo se non una rivoluzione del linguaggio?

Comunque, quante attrici oggi “magnaneggiano”? Eppure il cinema l’aveva dimenticata. Perchè la lotta nel nostro mondo è spietata. E io credo che in tutti, nel cinema italiano, ci sia un complesso di colpa nei confronti della Magnani. Per aver trascurato, dimenticato, lasciato cadere questa grandissima attrice.

Un giorno, non molto tempo fa, Anna mi disse amaramente: “In questo paese resistono solo i monumenti”.

Anna Magnani Sergio Amidei

Forse da questa amarezza derivava la sua diffidenza. O forse dal fatto che era arrivata tardi e che aveva dovuto lottare molto prima di arrivare.

Aveva dovuto percorrere per intero tutta la dura strada della gavetta, dalla rivista all’avanspettacolo, al film comico.

Ecco perchè era sempre sulla difensiva, con gli aculei tutti fuori, irti e puntuti, povera Anna.

Tutto comunque si può dire di lei, fuorchè passasse inosservata.

Io la conobbi a Torino. Lavoravo allora insieme a Goffredo Alessandrini. Facevamo Don Bosco. E Alessandrini, allora non erano ancora sposati, mi parlava sempre di questa Anna.

Anna qui, Anna là, Anna su, Anna giù. E un giorno nei corridoi del trucco sentii una gran risata, come non ne avevo sentito mai, e vidi passare, come una folata, una donna bruna con un incredibile vestito verde e una pelliccia di leopardo. Una scena indimenticabile.

Questa era Anna. Una “presenza” che sentivi, fortissima. E, in fondo, io adatterei a lei quello che Bergamín disse di García Lorca: “Si sentiva che stava per arrivare e quando era andato via era ancora presente”».


COLETTE ROSSELLI
Pittrice e giornalista, ha avuto con Anna Magnani un sodalizio durato quasi trent’anni. E’ moglie del giornalista Indro Montanelli.

«Anna Magnani era soprattutto una donna sola. Almeno così l’abbiamo conosciuta io e Indro. Perchè a noi ricorreva nei momenti di solitudine o quando aveva litigato con la persona a cui in quel momento voleva bene. Allora ci telefonava. E prendeva le cose molto alla lontana perchè Anna Magnani, al di là di quella sua apparente e strombazzata aggressività, era una donna timida e aveva molto pudore per le cose che la riguardavano.

Telefonava, e alla fine della telefonata, dopo averci girato un po’ attorno, finalmente chiedeva: “Be’, stasera che fate? Posso venire da voi?”, “Certo, Anna”. “Chicciavete?”. A questo punto se dicevo che avevamo ospite una donna, Anna non veniva. Se dicevo invece che c’era un uomo, si combinava.

Colette Rosselli Indro Montanelli Anna MagnaniMa questo non perchè volesse sedurre qualcuno, ma semplicemente perchè le donne, normalmente, non le interessavano. Non si sentiva a suo agio con loro.

In fondo la mia stessa amicizia con Anna è stata un’amicizia virile. Io a lei piacevo perchè in me trovava serenità ed equilibrio. Ce li trovava lei, intendiamoci, perchè io non ritengo di avere né l’una né l’altro. Ma questa, comunque, era la sensazione che le davo e questo a lei bastava.

A me invece Anna piaceva per due cose che non avrei mai osato dire e dirle quando era viva: perchè mi faceva tenerezza e perchè mi faceva pietà, un’immensa dolorosa, pietà. Anna era sola perchè non sapeva amare. Aveva un enorme, disperato bisogno di amare, di dare, di ricevere. Ma non sapeva amare.

In lei c’era una fortissima componente materna. Gli amori che ha avuto, soprattutto negli ultimi anni, per dei ragazzi tanto più giovani di lei avevano tutti questa origine, traevano alimento da questa componente materna.

Ma Anna, senza rendersene conto, sopraffaceva, soffocava i suoi uomini. Con una mano accarezzava, con l’altra schiaffeggiava.

C’erano due donne, due personaggi in lei. C’era un’Anna buona, materna, generosa, dolce (l’Anna che continuamente, premurosamente, forse eccessivamente, si preoccupava di te: “Hai freddo, hai caldo, vuoi qualcosa?”, eccetera) e c’era la diva, la donna abituata a essere la Magnani, riverita, idolatrata, ammirata.

Non che lei fosse diva alla moda delle maggiorate, intendiamoci, tutt’altro.

E’ che obbiettivamente, per la stessa forza delle cose, c’erano in lei due facce, una pubblica e una privata.  il contrasto era continuo.

Chi le stava vicino faceva una specie di doccia scozzese. E un uomo non regge quasi mai a queste cose. Ecco perchè la Magnani era una donna sola. Aveva un enorme bisogno di affetto.

C’erano delle sere in cui non voleva veder nessuno, ma c’erano delle altre sere in cui avrebbe dato qualsiasi cosa per un po’ di compagnia.

Io mi ricorderò sempre una notte che passai con lei a New York all’epoca dei suoi trionfi americani.

Si dava la prima di La rosa tatuata. Io le avevo detto: “Anna, fatti bella, mettiti elegante questa sera”. E lei mi aveva obbedito. Si era messa un vestito di velluto nero e, cosa straordinaria e credo unica nella sua vita, si era tirata su i capelli.

Alla fine del film venne da noi, da me e Indro, e ci chiese se potevamo accompagnarla in albergo. La seguimmo

Quando fummo nel suo appartamento: “State qui”, implorò. E, per trattenerci, si mise a cantare alcune canzoni romanesche. Poi fece portare dello champagne. Ma Indro, che non beve e lo champagne non lo può soffrire, recalcitrava.

Del resto ha anche lui le sue brave nevrosi e gli piace andare a letto presto. Anna si accorse che Montanelli guardava di sottecchi l’orologio. Ma il pensiero di poter rimanere sola quella sera l’atterriva.

Allora spense le luci, accese le candele, scosse quella gran testa, i serpenti si snodarono. In pochi istanti avvenne la metamorfosi.

Anna si disfaceva, ci mostrava il suo viso “notturno”, il suo unico, vero, autentico viso. E lì, in quella penombra, con quel suo pallore d’ambra, con quella sua patetica e tragica testa da Medusa, con quella sua voce roca, dolorosa e intensa, si mise a cantare per noi delle vecchie canzoni francesi, delle ballate del Seicento.

E io e Indro rimanemmo incantati ad ascoltarla. Indro dimenticò le sue nevrosi e facemmo l’alba in questo modo.

Ma a una cert’ora, saranno state le quattro, si sente bussare alla porta. E da uno spiraglio cautamente aperto fa capolino la faccia di Renzino D’Avanzo, il manager di Anna in quella tournée, e subito dietro di lui la testolina, un’incredibile testolina-vogue, di una giovane americana bene.

Che cosa era successo? Era successo che D’Avanzo, play-boy maturo ma non ancora in disarmo, aveva fatto una delle sue conquiste e che, come pegno dell’amore che stava per ricevere, era venuto a far conoscere la Magnani alla ragazzina.

Questo infatti era il tipo di baratto che Renzino era solito utilizzare. Be’, Anna si immobilizzò di colpo, stette zitta per un momento e poi scoppiò in una di quelle sue risate che son rimaste famose.

Quello che uscì poi da quella bocca è impossibile riferire. D’Avanzo battè rapidissimo in ritirata con la sua bella esterrefatta e sconvolta.

La porta si richiuse. Si riaccese la luce, il volto di Medusa scomparve, l’incanto si era spezzato. Io e Indro ci alzammo e ce ne andammo.

Anna MagnaniLa prima volta che vidi la Magnani fu tanti anni fa a una festa, mi pare in onore di Silvana Pampanini.

C’erano tutte le maggiorate che allora erano nel vento. Lei, Anna, era accasciata su un canapè. Eppure se ripenso a quella sera l’unico volto che ricordo, fra tante bellezze sfolgoranti, è il suo.

Soprattutto i suoi occhi, questi occhi colore dell’acqua, colore del pianto, come se ci fosse passato sopra un acquazzone. Erano, quelli di Anna, occhi indecenti per la loro pateticità.

E poi questa testa greca, da Medea. Il busto, fino alla vita, era da regina, una di quelle regine opulente così bene descritte da certi pittori dell’Ottocento, oppure da balia con quei suoi seni generosi e materni.

Il resto non esisteva. Era come se il buon Dio dopo essersi divertito a fare questa testa e questo busto si fosse stufato e avesse finito il disegno con uno sghiribizzo.

Dalla vita in giù il corpo di Anna era indefinibile come quello di una sirena.

Aveva bellissime mani, mani da pianista, mani piccole, un po’ maschili, estremamente eleganti nel muoversi, pratiche, intelligenti. Mani nude, perchè io non le ho visto mai portare né anelli, né brillanti, anche se ne possedeva tanti.

Io ho capito le mani di Anna Magnani quando ho visto la sua casa, una casa ordinatissima pulita, colma di cose di buon gusto e di suoi ritratto uno, mi ricordo, di Vespignani, bellissimo, e un altro di Guttuso. E poi c’eran libri, libri dappertutto.

Un’altra delle cose che mi legava ad Anna Magnani era la comune passione per gli animali. Lei li adorava, li amava in modo quasi morboso. Forse per lei erano un “ersatz”, una compensazione alle sue delusioni, ai suoi dolori.

Le sere d’estate, anni fa, lei mi veniva a prendere con la sua macchina da corsa e portavamo i nostri cani lupi (lei ne aveva due, io uno che si chiamava Gomulka) a correre a Villa Borghese. Questo succedeva vent’anni fa e noi eravamo più giovani di adesso e Anna si vestiva a modo suo, magari con vestitini scollati.

Accadeva quindi che, ogni tanto, qualche gruppo di giovinastri ci abbordasse scambiandoci probabilmente per battone. Anna andava su tutte le furie. Io le dicevo: “Anna lascia perdere, stai calma”, ma non c’era niente da fare. Lei si sporgeva dal finestrino e giù le parolacce più incredibili. I giovinastri finivano per scappare spaventati.

Anna amava la notte, viveva di notte. Non che facesse cose pazze, no, magari se ne stava raggomitolata su una poltrona per ore intere con gli occhi sbarrati, immobile.

Per lei non era mai abbastanza tardi. Si rifiutava, semplicemente, di andare a letto. Chissà, forse quelle ore della notte le sembravano ore rubate alla vita e alla morte.

Perchè Anna si portava dentro, da sempre, il sentimento della morte. La morte se la portava addosso. E del resto uno non ha quel volto tragico che aveva lei senza pagarlo duramente.

Anna aveva momenti di rabbia improvvisa, violentissima, e subitanee dolcezze. Era capace di slanci di generosità incredibili.

Quest’inverno una delle sue segretarie, Silvana, si ammalò piuttosto gravemente. Da quel momento Anna si dedicò tutta a lei, solo a lei. La curava amorosamente, la vezzeggiava, le faceva coraggio, la serviva come una cameriera. E quando Anna si ammalò a sua volta, Silvana era ancora in convalescenza, era ancora debole, ma non abbandono per un solo istante il capezzale della Magnani.

Mi ricordo che, recentemente, parlandole per telefono, le avevo chiesto come facesse a resistere a quel ritmo. E Silvana mi aveva risposto: “Non sento più di avere un corpo. Quando ritorno a casa e giro la chiave nella serratura penso che devo tornar da lei”. Questa era la forza dei sentimenti che Anna Magnani riusciva a suscitare intorno a sé».


RAFFAELE JACCHIA
E’ un “vicino di casa” di Anna Magnani. Vicedirettore generale della SIP, completamente estraneo al mondo del cinema, conobbe l’attrice in modo del tutto casuale. Poi, insieme alla moglie Martha, divennero grandi amici.

«Facemmo conoscenza con Anna Magnani ed entrammo nel suo gruppo grazie all’amicizia che s’era creata fra Luca Magnani e un mio nipote, un ragazzo olandese di nome Bertie.

Era il 1956. Quell’anno Luca aveva avuto un’operazione in Svizzera che avrebbe dovuto guarirlo dalla poliomielite e che invece si era rivelata poco felice. Il ragazzo era estremamente giù di corda ed era solo perchè Anna Magnani era in America per i suoi impegni di lavoro.

Allora io dissi a Bertie: “Stagli vicino, al Luca, tienigli compagnia, cerca di distrarlo”. Così fra Bertie e Luca fiorì una delicata, solida amicizia.

Quando Anna venne a sapere questa cosa si commosse fino alle lacrime e, un giorno, inaspettatamente, mi telefonò. A me venne quasi un colpo, per me Anna Magnani era sempre stata un mito, intoccabile, inavvicinabile.

Da quel giorno invece io diventai per lei “zio Raffaele”, e io e mia moglie fummo ammessi nella sua casa.

Con Anna Magnani abbiamo passato giornate, o meglio serate, indimenticabili al Circeo. Si era tutto un gruppo molto affiatato.

C’era Sergio Amidei, Elsa De Giorgi, Egle Monti, Sandra Battaglia, Velia Ballesio.

Tutto,  naturalmente, dipendeva da Anna. Se Anna era in vena la serata riusciva, se Anna era triste la serata moriva.

Ma l’Anna migliore che io ho conosciuto non è quel personaggio tragico che è noto al pubblico, è l’Anna gaia, l’Anna scatenata, l’Anna barzellettiera, l’Anna che ti trascinava a forza nei suoi giochi e nei suoi scherzi.

Quando era così era una donna affascinante, irresistibile.

Mi ricordo una sera, avevamo stappato parecchie bottiglie, in cui Anna decise che ognuno avrebbe fatto un suo numero.

Era un atto provocatorio nei confronti della De Giorgi che aveva la mania di ballare il bolero. E anche quella sera Elsa ballò , malissimo, completamente fuori tempo, e noi si moriva dal ridere.

Anna era una compagna deliziosa, ma bisognava darle sempre ragione. Lei cercava lo scontro verbale, lo provocava, ma poi voleva avere l’ultima parola. Sempre.

Era fatta così e bisognava accettarla così. Del resto ne valeva la pena. Anna meritava questo e altro.

Ultimamente però la Magnani non aveva più amici. Non li cercava, è vero, ma non era neanche più cercata. Gli amici la evitavano perchè era una donna triste. E lei si incupiva sempre di più. Invecchiava male.

Del resto io l’ho vista veramente felice solo quando lavorava. Il lavoro insieme al figlio Luca, nei confronti del quale soffriva però di molti complessi, per lei era tutto. E ultimamente lavoro gliene davano poco, e non quello che lei voleva e desiderava.

Quest’estate al Circeo non venne nemmeno. Seppi che era malata dai giornali.

Non volli, per mille motivi, andare a trovarla. Sapevo quale era il male che la straziava. E io Anna preferisco ricordarmela come la conoscevo, piena di vita, vulcanica, irresistibile.

Preferisco ricordarmi di quando, non molto tempo fa, si faceva a nuoto, lei che in fondo aveva 65 anni, i trecento metri che separano le nostre case e una volta arrivata a terra gridava, berciava come suo solito: “Ahò, zio Raffaele…”».


FRANCO ZEFFIRELLI
Ha diretto Anna Magnani nella “Lupa” di Verga in un momento difficile per l’attrice, quando si sentiva dimenticata da tutti.

Zeffirelli, qual è stato il punto di incontro fra lei, che è universalmente conosciuto come esteta, e Anna Magnani, che era altrettanto universalmente conosciuta come donna “istintiva”, come forza della natura?

«Io ho avuto sempre un gran culto per i divi, li adoro, mi interessano, mi affascinano. Sono un “fan” nato.

La Magnani mi ha vulnerato in un’età molto giovanile. Io sbocciavo a questa professione quando la Magnani scoppiò, esplose come l’attrice che ha rivoluzionato un certo tipo di recitazione, che ha creato un modello di italiano che tutte, tutti hanno poi imitato.

E io Anna l’ho amata molto prima di conoscerla. In fondo, è strano, ma la mia vita è stata costellata di appuntamenti con Anna Magnani.

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Fu lei a pescarmi per farmi fare una parte nell’Onorevole Angelina. Andò così. Io allora facevo il disegnatore, ero un ragazzino e mi presentai sul set con un grosso rotolo di disegni perchè dovevo fare, speravo di fare, la pubblicità per questo film.

Caso volle che arrivassi In un momento fatale. Era in corso una scenata clamorosa fra Anna e il regista Zampa perchè il ragazzo che avevano preso per una certa parte non funzionava assolutamente.

Nel pieno del suo furore agonistico la Magnani mi vide e gridò a Zampa: “Piglia un ragazzo come quello. Cosa rompi le scatole, lo sai che adesso gli attori si prendono dalla strada e non occorre affatto che sappiano recitare?”.

E così feci il provino e feci quella parte. Questo fu il nostro primo incontro. Molti anni dopo, io cominciavo a farmi strada ma ero ancora agli inizi, chiesi alla Magnani di fare Virginia Woolf.

Ero a Parigi e mi ricordo che spesi quasi tutti i miei soldi per cercare di convincerla. Ma lei dura. “Questa Virginia è una donna tremenda, tremenda”, mi disse, “una donna che parla per quattro ore filate, Franchino mio proprio non me la sento”. Virginia la fece quindi la Ferrati. E Anna Magnani venne a vedere la prima al Valle.

Alla fine era sconvolta, distrutta. Mi prese per un braccio, mi portò da parte e mi disse: “Sei stato proprio un cretino”. “Perchè Anna? Che ho fatto?”. “Perchè dovevi obbligarmi, tirarmi per i capelli, impormi di fare questa cosa. E ora chi la scrive più una commedia così, un personaggio così?”.

Qualche anno dopo la chiamai per La lupa e siccome lei avanzava qualche obbiezione le ricordai Virginia Woolf e le dissi: “Senti, Anna, questa volta stai zitta, la fai, ti fidi, e non rompi le scatole. Va bene?” E infatti lei poi mi fu enormemente grata per quel lavoro. Anche perchè si sentiva già negletta, poco sfruttata, dimenticata».

Perchè Anna Magnani era stata messa da parte?

«Perchè questo è un vizio antico degli italiani. Chi vale se ne deve andare. I peggiori nemici li abbiamo in casa. E’ stato sempre così.

Tante parti che erano state fatte per lei, ispirate da lei, da Anna Magnani, le sono state sottratte. Penso alla Ciociara, penso a Filumena Marturano, penso, ad esempio, a tutta la politica di certi produttori.

Così è andata a finire che abbiamo perso la nostra più grande attrice, un’attrice al livello delle grandi tigri del cinema e del teatro quale non abbiamo più avuto dal tempo della Duse.

Si è voluto rinchiudere, soffocare Anna nel cliché delle borgate romane e invece la Magnani poteva fare moltissime altre parti, poteva fare tutto quello che c’è di vero nel cinema e nel teatro.

E lei di questo abbandono ha sofferto, come ha sofferto per altre cose tutta la vita».

Ma qual era il “demone” che agitava Anna Magnani? Perchè questa furia, questa angoscia, questa paura, questo dolore, questa eterna insoddisfazione?

«Era l’incapacità di realizzarsi come donna nella vita che le dava questo assatanamento, e che le permetteva perciò di realizzarsi su un altro piano.

E infatti lei ha cercato di prendere le sue vendette nel lavoro. E c’è riuscita.

Franco Zeffirelli Anna MagnaniMa ha pagato tutto questo duramente. Il lavoro le ha sottratto la vita. Anna poi era una donna fragile, estremamente fragile, debole, piena di dubbi e di incertezze.

Avrebbe avuto bisogno di un uomo che si imponesse e la sottomettesse. Ma lei era anche, ormai, Anna Magnani, e come si fa a imporsi a un personaggio del genere?

Insomma era due donne diverse e gli uomini di fronte a questo enigma, a questo Giano bifronte sbarellano, non reggono. In fondo il dramma di tutta la vita di Anna sta proprio lì.

La cosa più vera, più sincera, più commovente Anna me la disse tre anni fa, in una delle sue tante confessioni notturne, mi disse: “Io sono una stronza, io dovevo nascere contadina nell’agro romano, fare tredici figli, sì, scodellare figli a mio marito e ogni volta che aprivo bocca quello mi riempiva la faccia di schiaffi. Questo era il personaggio mio, per essere vera con la mia natura. E dovevo far così. Invece mi son messa a far l’attrice, sono diventata Anna Magnani e sono stata un’infelice per sempre”».


SUSO CECCHI D’AMICO
Seneggiatrice, amica della Magnani dai tempi della guerra, è la persona che, insieme a Roberto Rossellini e al figlio di Anna, Luca, è stata più vicina all’attrice nei momenti tragici della malattia. Non voleva essere intervistata (e infatti ha rifiutato di farlo alla radio e alla televisione che pur glielo avevano chiesto). Ha ceduto solo dopo molte, molte insistenze e chiarendo che limitava il suo intervento a delle precisazioni.

«Io intendo solo fare delle precisazioni. Perché sono state dette e scritte tante inesattezze, tante menzogne in questi giorni su Anna Magnani e sulla sua dolorosa vicenda. Anche a livello di semplice cronaca.

Ho letto di una drammatica lettera che Anna avrebbe scritto in punto di morte al figlio Luca, e che gli avrebbe fatto consegnare da un fedele amico. E’ un’invenzione.

Suso Cecchi D'Amico Anna MagnaniSi tratta semplicemente di un vecchio foglio, redatto molti anni fa che contiene alcuni aggiornamenti sulla situazione economica e patrimoniale di Anna. Una cosa semplicissima per nulla drammatica, del tutto normale. Perché Anna, contrariamente a quanto la gente crede, era una persona ordinata e molto precisa.

Ho letto anche che Anna e Roberto Rossellini non si vedevano e non si sentivano da vent’anni. Anche questo è falso.

Dopo i primi anni burrascosi del distacco Anna e Roberto erano rimasti in ottimi rapporti. Perché Anna aveva un’enorme fiducia in Roberto Rossellini. E quando la Magnani aveva da prendere decisioni importanti, anche di lavoro, chiedeva sempre il parere di Rossellini.

Ho letto anche che Anna non aveva amiche. Anche questo non è vero. Io non sono un ometto eppure con Anna ho avuto un’amicizia durata trent’anni. E anche Colette Rosselli non è un ometto. E poi c’erano Egle Monti, la moglie di De FilippoBette Davis, Leonor Fini, mia figlia Silvia.

Un’altra cosa che non mi è andata giù è come è stato presentato in questi giorni il figlio di Anna, Luca Magnani: una specie di “minus habens”, di ragazzino attaccato alle gonne della mamma.

Luca Magnani ha trent’anni ormai, è un uomo, intelligente sensibile, completamente autonomo, che ha una vita sua e un lavoro suo. Tra l’altro, a quanto pare, sceneggerà fra poco un film per Castellani. Quindi sia dato a Luca quello che è di Luca. Anche se certo non voglio nascondere che non è facile per nessuno essere figlio di Anna Magnani».

Suso, mi permetta solo una domanda. Una domanda sola ma terribile. Anna Magnani voleva ancora vivere o si era rassegnata a morire?

«Non lo so. Anna è sempre stata lucidissima durante tutta la sua malattia, anche se tendeva a chiudersi in se stessa impegnata nella lotta che avveniva all’interno del suo corpo.

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Ha sofferto molto, moltissimo, questo è certo. E ha affrontato tutto con coraggio anche se aveva paura.

Forse che non aveva paura nel ’44 quando nascose Luchino Visconti, ricercato dal nazisti, nella sua casa di via Amba Aradam. Veniva da me e mi diceva: “Suso, ho paura”, ma intanto lo nascondeva. Ecco, così è avvenuto ora.

E la paura di Anna non era una paura del dolore, perché fisicamente era coraggiosissima, ma era una paura dell’ignoto, dell’incerto, dell’incomprensibile. E se rassegnazione a un certo punto c’è stata è stata del tutto inconscia.

Io comunque non me la so immaginare vecchia. E forse nemmeno lei poteva vedersi, immaginarsi vecchia. Forse tutto il segreto, anche della sua malattia, era proprio questo: non poteva invecchiare».

M. Fini
(dalla Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna Capitana)