Il regista austriaco Max Neufeld, attivo in Italia per circa vent’anni, si cimenta con un film che ha narra una delle infinite, tragiche, vicende umane dell’Italia del dopoguerra. Per farlo si serve di attori straordinari e di spessore, quali Gino Cervi (stella del miglior teatro italiano) e, per l’appunto, Anna Magnani, reduce da “Roma città aperta”.

Con “Un uomo ritorna” (1946), malgrado i limiti tecnici e narrativi, si prosegue con quel proposito già manifestato di fare del cinema uno strumento utile alla narrazione della realtà, ma anche mezzo e linguaggio universale per l’attuazione in concreto di quei valori che fecero sorgere la necessità di creare una nuova Italia, una nuova Europa.

Sergio (Gino Cervi), direttore di una centrale elettrica nel Lazio, ritorna in famiglia dopo i disastri della guerra e dovrà affrontare le infinite difficoltà e il degrado morale e materiale che ne consegue. Fratello maggiore e figlio, riporterà ordine e rettitudine in una famiglia allo sbando, impegnandosi anche a riavviare la sua attività professionale (senza tuttavia ricevere un pieno appoggio nè dagli amici nè dagli enti preposti).

Suo fratello Cesare, mutilato in seguito all’esplosione di una mina nelle campagne romane, affronta quella condizione con fatalismo e rassegnazione, in ciò essendo anche di sostegno all’anziana madre.

La sorella Luciana, attratta dal mondo del mondo del cabaret frequantato da giovani americani (gli alleati che cercando svago e distrazioni in una Roma persa), rischia di trovarsi su una cattiva strada. Come se non bastasse, il fratello più piccolo, poco più di un bambino, entra nel giro della borsa nera, commettendo piccoli furti.

Ma dramma più dirompente riguarda Adele (Anna Magnani), che attende il ritorno del figlio Giorgio, deportato in seguito ad un rastrellamento, nonostante la giovane età. L’attesa sofferente si accompagna ad uno stato d’animo di profonda angoscia e frustrazione: l’assenza di suo figlio, la mancanza assoluta di notizie, il dolore rendono Adele inquieta e sospettosa.

Il furtivo ritorno in casa di Mario, un ex repubblichino, responsabile dei rastrellamenti, fa risorgere in Adele la speranza di conoscere finalmente la sorte del figlio. In più occasioni presserà e spierà la moglie dell’uomo, che non può tuttavia informarla di nulla, non conoscendo il destino di Giorgio.

L’arresto del repubblichino condurrà ad un processo farsa e solo la testimonianza di un partigiano permetterà di accertare le reali responsabilità, ma la legge si dimostra impotente di fronte al dramma di una guerra scellerata, portatrice di morte e distruzione. I venti anni di carcere comminati al repubblichino acuiscono la rabbia di Adele che si rivolge al giudice a muso duro, incapace di farle giustizia.

Il magistrato, pur riconoscendo le ragioni umane della donna, non può distaccarsi dal diritto positivo: è una condanna che non fa giustizia, ma è pur sempre una condanna. Il principio di separazione dei poteri è qui ben evidente in tutti i suoi drammatici effetti. Ma la disperazione di una madre cui viene ucciso un figlio soverchia ogni legge degli uomini e Adele è destinata a lacerarsi nella sua insoddisfatta voglia di giustizia.

Meditando una tragica e inumana vendetta sui figli di Mario, si ravvede alla vista delle creature innocenti e incolpevoli delle mostruosità umane, cambiando proposito. Rinascerà, con speranza e una nuova pace interiore, circondata dall’affetto di Sergio e della sua famiglia.

La Magnani si immerge in questo ruolo di madre con una forza inquietante, che fa tremare la terra. L’ambientazione è ancora quella borghese dei telefoni bianchi, con dialoghi attenti e misurati, personaggi stereotipati ma si può scorgere l’evoluzione che conduce ad un nuovo e opposto approccio cinematogratico.

Il clima appare tutto sommato sobrio, tranquillo, spaventosamente razionale. Solamente il personaggio di Anna Magnani mostra con veemenza la propria rabbia e frustrazione.

L’interpretazione della Magnani rappresenta un tassello ulteriore nella costruzione di quel personaggio femminile del dopoguerra, sintesi perfetta di tutte quelle donne che, nella loro assoluta solitudine, continuano a condurre una vita orientata alla ricerca di pace e verità.

di Mariangelica Lo Giudice
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