Anna Magnani definisce “uno scontro di judo spirituale” i suoi burrascosi rapporti personali con Marlon Brando
Roma, novembre
Nella ultime settimane, avvicinandosi la proiezione pubblica de La pelle del serpente, si fecero fitte le voci che la parte di Anna Magnani fosse stata, nel montaggio del film, ridotta a beneficio di quella di Marlon Brando.
Da chi partissero le voci non sappiamo; certo è che la settimana scorsa i giornalisti romani furono convocati a una conferenza stampa nella quale, si sussurrò, la Magnani avrebbe detto il fatto suo a Brando, l’ambizioso tiranno che aveva preteso il suo sacrificio.
Al contrario, la conferenza stampa filò liscia e amabile e di tutto la Magnani parlò fuorché dei dissidi con Brando.
La verità venne fuori più tardi, quando ci trovammo soli con lei che, abbandonata l’aggressiva cordialità di prima, si lascò andare ad amare considerazioni.
«Perchè non dovrei difendermi?», ci disse. «Perchè non dovrei parlare dei miei contrasti con l’operatore, che si seccava quando lo avvertivo che quindici anni di esperienza m’avevano insegnato che dovevo essere illuminata in un altro modo? Un mese sono durati i contrasti; poi l’operatore, che pure è uno dei migliori di Hollywood, si rese conto che avevo ragione; ma intanto, in parte del film, il mio viso eccolo là, pieno di buchi, come se avessi cent’anni».
«Il regista? Dopo aver visto La parola ai giurati ero stata proprio io a chiedere Sidney Lumet, che mi pareva un asso nel dirigere la recitazione. Con sorpresa scoprii che raramente si degnava di discutere con noi attori i particolari dell’interpretazione: preferiva ridere e scherzare con gli elettricisti e i macchinisti. Poi doveva sempre correre da qualche parte. Una specie di boy scout in preda al ballo di San Vito. Non sono mai riuscita a capire questo suo modo di fare, forse per colpa mia che ho il difetto di appassionarmi al mio lavoro e di battermi per ciò che credo più conveniente alla riuscita dei film che interpreto».
Marlon Brando desta nella Magnani una ridda di sentimenti contrastanti.
«Gli voglio un sacco di bene», dichiara l’attrice. Ma aggiunge: «Non invidio la donna che perdesse la testa per lui». Evita comunque di giudicarlo: «Mi somiglia talmente!». Afferma: «Con tutti i suoi difetti è e rimane un grande attore».
Quella di Brando con la Magnani è la più strana delle amicizie. Cominciò sette anni fa a New York, dove essa si era recata per la presentazione di un suo film.
La sera prima d’imbarcarsi per l’Italia, la Magnani ricevette una telefonata. «Sono Marlon Brando», disse una voce. «Vorrei vederti. Va bene domani?» La Magnani ascoltava stupita. Tra tutte le telefonate che poteva ricevere, quella era certo la più inattesa. «Domani parto», rispose. Brando insistette: «Vediamoci subito. Stai preparando le valigie? Non importa. Solo un momento».
PASSEGGIAVANO TENENDOSI PER MANO
«Quando aprii la porta», racconta la Magnani, «vidi un ragazzo alto e biondo con una dolce espressione da San Francesco e lo sguardo magnetico. A quel tempo Brando posava ancora a campione della gioventù ribelle e non si era certo preso la briga di mettersi la cravatta; ma mi portò un dono: uno strumento africano, che ho conservato, con una rosa rossa infilata nel manico».
Brando cominciò a parlare; fra l’altro le disse che aveva visto Il miracolo cinque volte. «Hai cenato?», le chiese a un tratto. No, la Magnani non aveva cenato e, prima di rendersene conto, si trovo con lui in un ristorante cinese.
Ora che ha conosciuto altri ristoranti cinesi sa che quello non era certamente il migliore: tutto, ambiente e cibi, aveva odore di lavanderia. Ma non voleva deludere il giovane genio. «Ti piace?», egli le chiedeva sollecito. «Molto», rispondeva la Magnani.
Finito di mangiare, Brando propose un giro sull’Hudson. S’imbarcarono su di un battello e guardarono sfilare le luci di New York. «E ora», disse Brando quando scesero di nuovo a terra, <ora ti porto a sentire un po’ di jazz. Vero jazz…». Erano le tre passate. L’alba si avvicinava e la Magnani si ricordò che doveva fare le valigie.
«Un’altra volta», promise. «Allora ti accompagno in albergo. Non vuoi offrirmi il bicchiere della buona notte?». Insomma, sembrava che Brando non riuscisse più a staccarsi da lei.
Il loro secondo incontro avvenne, sempre a New York, alla fine delle riprese della Rosa tatuata; passarono un intero pomeriggio a girovagare in carrozza per i viali del Central Park, e Brando non le lasciò la mano un momento.
Quando poi lei vinse l’Oscar, lui si trovava in Giappone per Sayonara. «Brava, bravissima!» le telegrafò.
E venne il momento che si trovarono insieme a interpretare La pelle del serpente, che Tennessee Williams aveva scritto pensando a loro due. Il primo giorno Brando suscitò la meraviglia generale facendole trovare in camerino un gran fascio di rose. Ma le spine vennero dopo.
«Per esempio», racconta la Magnani, «una volta, durante la lettura collettiva del copione, Brando prese a leggere con un filo di voce; a malapena riuscivo a sentirlo io che gli stavo vicino. Nessuno protestò e lui continuò nel suo gioco, quasi per vedere fino a che punto lo avrebbero sopportato. Non protestai neppure io, ma quando venne il mio turno adoperai meno voce di lui. “Non ti sento”, mi disse. Allora lo guardai e lui capì. Si mise a ridere e mi abbracciò. In seguito lesse con voce normale. Ecco: gli piace stuzzicare la gente, ma poi è bravissimo a farsi perdonare».
«E ora che ci penso, tutto il film è stato una specie di lungo scontro di judo spirituale fra noi due. Un giorno, quasi all’inizio, sorridendo con quel suo modo astratto tutto di traverso, inaspettatamente mi fece: “La tua parte è più grossa della mia. Lo è nella sceneggiatura, non lo sarà sullo schermo”. “Senti”, gli risposi, “io mi trovo qui non per battermi con te, ma per fare con te un bel film”».
«Un’altra volta mi disse: “Tu sei molto più forte di me, tu vinci sempre”. Gli risposi: “Tu non sai quante volte ho perso, io, nella mia vita. Ma ti assicuro che perdere fa bene. Farebbe bene anche a te”.»
L’ultimo scontro tra la Magnani e Brando si ebbe il giorno prima della fine del film. L’attrice non ha voluto svelarne il motivo, ma dovette essere abbastanza serio se essa da principio si rifiutò di partecipare l’indomani al tradizionale cocktail di chiusura. Si lasciò convincere solo per non essere scortese con le maestranze, che l’avevano sempre trattata con grande simpatia. E anche questa volta Brando ottenne di fare la pace. «Non mi dai un bacio?», le chiese. «E perchè dovrei?» rispose lei sostenuta. Ma finì per acconsentire, e lo accompagnò a fare una lunga passeggiata.
Di Brando, la Magnani ricorda anche l’amore per il figlio avuto da Anna Kashfi.
Giravano il film a New York e lui a ogni week-end faceva sedici ore di aereo fra andata e ritorno per recarsi in California a vederlo.
Più che per il suo talento, che pure molto ammira, è per questo suo amore paterno, così violento ed esclusivo, che Anna Magnani finisce col perdonare a Brando ogni cosa: il carattere, le bizzarrie, le contraddizioni, le debolezze. «Mi fa una immensa pena», dice.
D. Meccoli