Dopo Ossessione che segna la data di nascita della scuola neorealistica italiana, dopo La terra trema, film di eccessiva austerità e non privo di lentezze, in cui tuttavia dava la misura del suo talento insieme lirico meticoloso e alieno da effetti e convenzioni spettacolari, Visconti si presenta oggi con Bellissima, protagonista l’attrice per eccellenza del neorealismo, Anna Magnani.
Si tratta di un film che ha per argomento il cinema, ossia un film da farsi.
Come spesso avviene, una ditta cinematografica bandisce un concorso per una parte di bambina. Tra le tanti madri che si affollano negli immensi spazi di Cinecittà, si trova Maddalena Cecconi, moglie di un capomastro romano.
La madre è ansiosa di far diventare «qualcuno» la figlia; la bambina, dal canto suo, ne farebbe forse a meno: tanto è vero che all’ultimo momento la madre se la perde tra la folla e non la trova che dopo una lunga ricerca, intenta a giocare presso una vasca.
Comunque, tra urli, spinte e batticuori, Maddalena riesce a portare la figlia davanti al regista che è Blasetti in persona.
La piccola Maria viene prescelta insieme a poche altre per un provino. Raggiante, la madre se la riporta a casa. A questo punto, si può dire che cominci il suo calvario.
Per intendere la parola di calvario applicata ad una trafila semiburocratica qual è l’assunzione di un’attrice sia pure bambina, bisogna tenere a mente il carattere che Visconti ha voluto dare alla madre.
S’è detto qualche volta che la civiltà italiana è materna e che la Madonna con il Bambino, tante mila volte rappresentata, è il simbolo di questa civiltà. Ebbene, nel personaggio di Maddalena Cecconi, Visconti ha voluto appunto impersonare la madre popolana italiana, con tutta la sua furiosa irrazionalità e la sua struggente e gelosa passione.
La povera Maddalena, uscita dal suo casamento di San Giovanni, si trova per la prima volta in vita sua alle prese con le complicazioni disumane e spesso poco edificanti di una industria modernissima come quella cinematografica.
Da principio la sua idea è che la bambina debba passare tale e quale dalle sue braccia allo schermo. Ma poi personaggi più o meno interessati e l’ambiente stesso, così poco naturale, del cinema, le suggeriscono che la bambina va educata, ammaestrata, ornata e, soprattutto, «raccomandata».
Fotografi, sarti, parrucchieri, maestre di recitazione e di ballo, aiuti registi, registi, ecco altrettante stazioni di questo che abbiamo chiamato calvario, ossia di un crescente smarrimento, sconforto e sdegno della povera madre. La quale per un ricatto di un tirapiedi ci rimette anche i soldi del suo libretto di risparmio: senza contare un congruo numero di botte da parte del marito incomprensivo.
Viene il giorno dell’esame dei provini: sullo schermo appare la bambina truccata e travestita da ballerinetta. Ma a metà provino il piccolo viso si contrae in un pianto interminabile, disperato in cui sembra esprimersi non soltanto la timidezza della piccola Maria ma anche tutta l’amarezza della madre.
Le risate che accolgono questo pianto puerile spezzano il cuore della povera donna che si riprende la bambina e se ne va. Inutilmente Blasetti le sguinzaglia dietro i suoi accoliti con un contratto da firmare di due milioni. Troppo tardi.
Maddalena ha sofferto troppo, ha ingoiato, soprattutto a causa del suo, diciamo così, analfabetismo sentimentale, troppi rospi. Così ella rifiuta il contratto e si getta tra le braccia del marito, decisa a non più uscire nè fare uscire la figlia dal cerchio familiare.
Film piuttosto amaro, come si vede, e, trattandosi di materia così patetica e delicata come l’amor materno e l’innocenza infantile, in più punti crudele; ma anche, occorre dirlo, film di un livello superiore quale da parecchio tempo non era dato vedere sui nostri schermi.
La vicenda, come si sarà capito, è in fondo quasi un lungo monologo della protagonista: donde le qualità e anche i limiti del film.
Visconti ci ha dato anzitutto un «ritratto in piedi» di madre veramente memorabile per forza, sobrietà, complessità e vivezza.
In questo senso, rispetto alle psicologie spesso elementari dei due primi film, questa madre di Bellissima, così completa, è una novità importante.
Inoltre, pur seguendo la protagonista e la sbatacchiata bambina per la loro via crucis, Visconti, con notevole capacità di caratterizzazione, ha saputo descrivere quel curioso miscuglio di sciatteria romanesca e di macchinismo moderno che è il mondo di Cinecittà.
Il film ha una prima parte un po’ lunga in cui forse si ripetono talvolta le stesse scene e gli stessi effetti; nella seconda, la meticolosa accumulazione lirica propria ai film di Visconti trova espressione nel delinearsi sempre più preciso della delusione materna.
In questa seconda parte vorremmo ricordare la scena tra Maddalena e il giovinastro cinematografaro, in riva al Tevere: molto bella nella sua leggerezza di tocco e graduazione; nonchè la scena del provino, degna di un Chaplin, con quel lungo pianto della bambina, sullo schermo, così naturale dopo tante fatiche e tante amarezze.
L’interpretazione di Anna Magnani è forse la migliore di tutta la carriera di questa attrice eccellente.
Appassionata, mai sentimentale, perfettamente naturale, con asprezze, arguzie e sprezzature di umore improvvise, Anna Magnani ci ha dato in Bellissima una figura di madre popolana di grande efficacia.
Walter Chiari fa assai bene la parte del disonesto e arruffato giovinastro.
Gastone Renzelli è un marito rustico e generoso quanto basta. Tecla Scarani e Teresa Battaggi sono brave ambedue nelle parti di maestre di recitazione e di danza. Blasetti non potrebbe essere più «Blasetti» di così. Finalmente la piccola Apicella nella parte della bambina ci ha commossi senza sdolcinature per sola virtù di semplice verità.
A. Moravia