Non senza rammarico la protagonista di questo libro affermava: «La Magnani è un essere che non sopporto, che non mi piace».
Era la denuncia di una malinteso che l’aveva perseguitata per tutta la vita, che l’aveva ingabbiata in un’immagine di sé incompleta e superficiale: quella di una donna-attrice impulsiva, ignorante, rumorosa.
Dietro quello stereotipo si nascondevano invece una donna dotata di un forte senso della riservatezza e del pudore, e un’attrice la cui arte, tutt’altro che improvvisata, si fondava su di una tecnica sorvegliatissima, affinata in lunghi anni di gavetta teatrale e cinematografica.
Questo destino, comune a molte grandi figure di artisti, per Anna Magnani aveva avuto origine a partire dagli anni Quaranta, quando il cinema italiano, che fino ad allora le aveva riservato ruoli di cameriera e canzonettista, ne fece, con Roma città aperta, la donna del popolo che tutti conosciamo. E così fu facile, per il pubblico, identificare persona e personaggio.
Da allora la Magnani si è impegnata a perfezionare quella figura di romana, ora piccolo borghese, ora popolana che lei stessa aveva creato (dall’Angelina di Zampa, alla Maddalena Cecconi di Visconti alla Mamma Roma di Pasolini), e contemporaneamente a lottare contro la crudeltà del mercato cinematografico che in essa tendeva a relegarla.
Solo tra le spesse mura di un palazzo seicentesco o in una casa sul mare, nascosta tra gli eucalipti e il canto incessante delle cicale, la signora Magnani poteva finalmente mostrare il suo volto meno inflazionato: il figlio Luca, gli amati animali, pochi amici selezionati, la musica, quadri e oggetti di gusto, i feticci e i ninnoli di tutta una vita.
Ed era qui che, caduta la maschera, venivano fuori la fragilità, la saggezza, l’introspezione, la lealtà, la timidezza quasi adolescenziale della donna più forte, coraggiosa, aggressiva che il cinema abbia mai inventato.
(estratto della premessa del libro “LA SIGNORA MAGNANI“,
di Lorenzo Cantatore e Giuliano Falzone, Edilazio 2001)