21 marzo 1956, Roma.
Anna Magnani rimane nella sua casa, tra le sue cose, le sue piccole certezze. Aveva preferito non partire, non gettarsi in pasto ai fotografi, con tutte quelle luci scintillanti, le scarpe strette e quelle pose composte.
Anna è a Roma, nella sua Roma, quella di marzo che si illumina appena di un sole benigno e ti sovrasta con un venticello fresco. Chissà cosa pensa… magari si, era consapevole di meritarsi un premio così importante ma quella indolenza tutta romana e quella prudenza tutta femminile le impediscono di fantasticare troppo, magari per risparmiarsi una potenziale delusione.
No, meglio non pensarci. Qualcosa succederà, del resto qualcuno prima o poi glielo avrebbe comunicato. Poteva dormire sonni tranquilli. Si addormenta tardi, come il suo solito.
Nel Nuovo Continente, frattanto, Jarry Lewis, con la sua voce nasale, legge sul cartoncino il nome della vincitrice del Premio Oscar come migliore attrice protagonista per il film “The Rose Tattoo“: è Anna Magnani, storpiatoamericana, ma è lei.
Marisa Pavan se ne accorge molto bene e velocemente, accalorata e confusa, sale sul palco per ritirare la statuetta. Segue un commosso discorso, che forse non comunica tutto quello che avrebbe voluto esprimere. Fa niente.
Anna Magnani ha vinto e presto Roma sarà teatro di festeggiamenti.
Intanto in Via degli Astalli è notte fonda, ma il telefono squilla senza sosta, le luci sono accese. Tutto si rianima perché non è uno scherzo, chi poteva essere così insolente e imprudente da fare uno scherzo simile ad Anna Magnani? No, quale scherzo!
L’Oscar è suo e comincia a crederci anche lei. Struccata, assonnata, stanca, ma felice… una felicità improvvisa, nuova, sognata, che fa dimenticare ogni fastidio. E ora sì che i fotografi si prendono tutto lo spazio, ora i flash non sono più sgraditi.
Tutta l’Italia ha vinto, come quando si vince la coppa del mondo: ognuno si sente rappresentato dalla Magnani, anche chi non l’ama.
Così italiana, così romana, così terrena, così diva de noantri.
Ma dopo la sbornia c’è sempre un mal di testa.
L’Oscar alla Magnani, dopo l’euforia incontrollabile, diventa un losco figuro calvo e dorato che inquieta l’industria cinematografica italiana.
C’è chi ha creduto che Nannarella fosse diventata una diva inavvicinabile, una sorta di Greta Garbo intoccabile e improponibile.
Proprio in quel momento, cui avrebbe dovuto seguire una serie ininterrotta di successi e gratificazioni, la Magnani, amata e temuta, viene mitizzata e perciò accantonata considerata come un personaggio già compiuto e un’artista pienamente consacrata e soddisfatta.
Tutto ciò, sommato anche al suo carattere inflessibile e intellettualmente onesto, che le impediva spesso e volentieri di interpretare ruoli “commerciali”, determina un sempre più consapevole e doloroso isolamento di Anna dall’universo cinematografico.
In America la adorano, la invocano, ma come potrebbe mai lasciare tutto e stabilirsi negli Stati Uniti, così lontano… No, non è il suo mondo quello.
di Mariangelica Lo Giudice
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