Pochi film hanno la forza espressiva di diventare rappresentativi di un periodo storico. Tra questi si annovera senza dubbio “Roma città aperta”, che ha descritto con verità e crudele realismo una delle pagine più drammatiche della storia d’Italia. Il film di Roberto Rossellini, realizzato nel 1944 in precarie condizioni, è Storia in movimento.
Dopo l’armistizio di Cassibile, gli alleati sono ancora lontani dalla Capitale, che si trova sotto scacco delle forze nazifasciste. Ma la resistenza è viva e attiva.
Giorgio Manfredi (Marcello Pagliero), uomo di spicco della resistenza romana, sfuggendo ad una retata della polizia, trova rifugio in casa di Francesco (Francesco Granjacquet), anch’egli antifascista e futuro sposo di Pina (Anna Magnani).
La sorella di Pina, Lauretta, fa la canzonettista in un locale insieme a Marina (Maria Michi). Quest’ultima è una vecchia fiamma di Manfredi e cercherà di mettersi in contatto con l’uomo, che vuole invece proteggerla. Nel frattempo, Don Pietro (Aldo Fabrizi), venuto a sapere della presenza di Manfredi in casa di Francesco, lo aiuta e fa da portavoce con gli altri partigiani che operano segretamente.
La mattina delle nozze tra Francesco e Pina, i tedeschi circondano il caseggiato di Via Monteccuccoli. Mentre Manfredi sfugge ancora una volta alla cattura, Francesco viene caricato su una camion e Pina, con rabbia e protesta, corre ugualmente per raggiungerlo.
Nel tentativo di fermarla ed evitarle una morte certa, Francesco grida disperato: “Tenetela, tenetela!”, ma una raffica di mitra pone fine a quella corsa e Pina muore sotto gli occhi di suo figlio Marcello (Vito Annichiarico).
Francesco riesce a fuggire e a rifugiarsi, con Manfredi, a casa di Marina. Li raggiunge Lauretta, ubriaca e ignara della morte della sorella.
Manfredi è ormai consapevole della debolezza morale di Marina (che aveva anche cominciato a drogarsi) e decide di abbandonarla, dopo averla rimproverata. La donna, risentita, lo tradisce denunciandolo a Ingrid (Giovanna Galletti), agente della Gestapo al servizio del comandante Bergmann (Harry Feist).
Manfredi e Don Pietro vengono catturati, mentre Francesco (avendo protratto un incontro con il piccolo Marcello) si allontana senza essere notato. Dopo atroci torture per indurlo a confessare, Manfredi muore tacendo, preferendo la morte al tradimento dei suoi compagni. Don Pietro viene invece fucilato sotto lo sguardo atterrito dei ragazzi della sua parrocchia, che mestamente si allontanano da quel tragico scenario e trovano, nel conforto e sostegno reciproco, la forza di ricominciare.
Il personaggio di Pina (ispirato alla storia di Teresa Gullace, madre di cinque figli e in attesa di un sesto, uccisa da un soldato nazista il 3 marzo 1944, perché protestava per suo marito imprigionato) è il più forte, il più pregnante di tutta la pellicola.
Anna Magnani, con tutta la sua fisicità, fa di questa donna espressione immutabile di valori universali. La sequenza della morte è tra le più memorabili della storia del cinema mondiale: il cinema si fa realismo, si fa vita e propone la realtà in tutta la sua drammaticità.
La figura di Pina si contrappone mirabilmente a quelle di Marina e Lauretta. Mentre queste ultime si rassegnano alla realtà, cedendo a compromessi e accettandone inerti le conseguenze, Pina è l’emblema della donna che sa ribellarsi, che deve e vuole ribellarsi contro ogni forma di violenza e ingiustizia.
Il volto di Pina è il volto dell’Italia che sa di dover resistere e combattere. Combattere per mangiare, per vivere, per morire. La sua ribellione è quella di un Paese intero, stanco di subire, che nei suoi occhi si riconosce.
L’occupazione nazista e con essa le angherie, i soprusi, le vessazioni, le ingiustizie non sanno e non possono piegare la volontà di un popolo a resistere.
E’ una lotta per la sopravvivenza, ma è anche e soprattutto una lotta per la libertà. Pina, con la sua eroica esistenza e con la sua tragica morte, mostra a tutti, nella sua sincerità di donna del popolo, l’immortalità di valori e principi che nessuna brutalità umana potrà mai sopprimere davvero.
Non a caso, è una donna si fa portatrice di questo messaggio, ma non come eroina, bensì come madre e come donna innamorata: la resistenza, quale fenomeno generalizzato, non esclude le donne, che sono bensì attive e consapevoli.
Anna Magnani si immerge con straziante realismo nel personaggio, assorbendolo e vivendolo come proprio tanto da esserne destabilizzata emotivamente. Sarà il personaggio della sua lunga e brillante carriera, attraverso il quale tutti, in ogni parte del mondo, la conoscono e la identificano.
La grandezza del film, che pure è inserito in un determinato contesto storico, si può rinvenire anche nell’anacronistico ventaglio di principi, valori e realtà: la resistenza, quale movimento che sorge avverso l’occupazione nazista, si estende e contestualizza alle infinite vicende storiche della vita dell’uomo.
di Mariangelica Lo Giudice
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