«Robè, impediscimi di morire», aveva chiesto Anna Magnani a Roberto Rossellini.

Rossellini fece il possibile e l’impossibile, scrisse e telefonò a tutte le persone che conosceva sperando che potessero indicargli un farmaco, una clinica, un chirurgo, insomma il modo di fermare la malattia inesorabile che aveva colpito Anna e che i medici chiamavano con nomi pietosi e illusori.

Partì per gli Stati Uniti portando con sé i risultati delle analisi e le diagnosi, visitò insigni medici e case di cure attrezzate per le malattie tumorali; ebbe notizia di un nuovo farmaco e se lo procurò, sperando nel miracolo. Ma ormai non c’era più tempo neppure per i miracoli, poche ore dopo il rientro del regista da New York, Anna Magnani morì e i romani si affollarono a migliaia intorno alla clinica “Mater Dei” chiedendo di vedere “Nannarella” già santificata dalla fantasia popolare.

Ai funerali, svoltisi venerdì a Santa Maria della Minerva, si videro gli stessi tumultuosi incidenti che accaddero in piazza Euclide quando i romani accompagnarono alla tomba la salma di Mario Riva.

Rossellini e la Magnani s’erano “recuperati” qualche anno fa dopo un lungo periodo di silenzio. Rossellini prese a far visita ad Anna, di tanto in tanto, spesso lo accompagnava Sonali Das Gupta: trascorrevano le serate ricordando le cose che furono e le cose che avrebbero potuto essere.

L’attrice usciva raramente, non si muoveva volentieri nel caos della circolazione romana: preferiva accogliere nell’attico dove abitava, a palazzo Altieri, alcuni degli amici che aveva conservato.

Uno di questi amici veri era Fabrizio Sarazani. Romano di antica e cospicua famiglia, Sarazani è fra gli scrittori italiani che hanno meglio rappresentato le vocazioni, la storia, gli umori della capitale: i suoi libri (Roma perbene, Roma in castigo, Il papa tosto, per citare alcuni titoli) sono altrettanti capitoli d’un ritratto lucido e affettuoso della città.

La sua amicizia con la Magnani è antica di molti decenni, risale all’epoca in cui “Nannarella” si affacciava alla ribalta, scoperta da Anton Giulio Bragaglia.

Sarazani era a Londra con Anna quando nel marzo 1949 scoppiò il ciclone Ingrid; l’aveva accompagnata nella capitale inglese per la prima di L’onorevole Angelina.Anna Magnani Luigi Zampa - Londra«Nelle sue vicende sentimentali Anna portava tutto il vigore, l’esuberanza, l’impazienza del suo temperamento», dice Sarazani. «A quell’epoca la sua storia con Rossellini era nella fase drammatica. Partimmo in treno e alla stazione Roberto venne a salutarla; ma c’era già nell’aria la tempesta che stava per scoppiare. A Londra scendemmo al Dorchester. Ogni mattina io uscivo a una certa ora dall’albergo per andare a comprare i giornali, Anna dormiva ancora. Un giorno acquistai Le Figaro e vidi una chiarissima fotografia dell’arrivo di Ingrid Bergman a Roma. Rossellini era andato a prenderla all’aeroporto. In albergo, Anna stava facendo colazione. Io non ebbi il coraggio di darle il giornale, ma dopo pochi minuti fui fulminato da una sua perentoria richiesta. “E il giornale?”. “Oggi non l’ho preso”, tentai di mentire. “Tira fuori il giornale“, disse “a me ‘ste bugie nun le racconti“. Dette uno sguardo e capì, la fotografia la sconvolse.

Non l’avevo mai vista in quelle condizioni: voleva piangere, voleva telefonare a Roma ai suoi amici per sapere se avevano visto Roberto, se sapevano che cosa faceva. Per tre giorni non mangiò; e naturalmente non mangiai neanch’io, non volevo lasciarla sola per paura che facesse qualcosa di irreparabile.

“MI BUTTO DAL TRENO?”

«Anna Magnani» dice ancora Sarazani, «non assomigliava affatto all’immagine che certi giornali suggerivano: non era scarmigliata, popolaresca, incolta.

Per cominciare, era una donna ordinatissima, attentissima alla propria persona e alle proprie cose. Non era affatto ignorante, come si è scritto: non si limitava a leggere i copioni ed era piena di interessi, di curiosità, di attenzioni per il prossimo. Parlava il francese e l’inglese correttamente.

Una volta, la invitai a cena in un ristorante; c’eravamo noi due e un altro degli amici che sono stati sempre vicini ad Anna. Non è un uomo dello spettacolo, si chiama Gigetto Pietravalle e fa il rappresentate di una casa automobilistica. A cena, parlò del suo lavoro e della sua incapacità di lavorare in uno di quei film della serie sexy (“Non mi piacciono, sono maialate“, disse). Manifestai il parere che le convenissero dei personaggi di molto rilievo, ruoli in cui potesse esprimere la sua personalità.

“Per esempio”, suggerii “se si facesse un film sulla madre di Napoleone, ne saresti certo una interprete superba”. L’idea di fare Madama Letizia le piacque: ne parlammo a lungo, per non lasciar cadere l’argomento andammo perfino in un night. Anna non amava i locali notturni. Le facevano tristezza.

Hai fatto caso che la gente sta sempre al buio?”, diceva “Vengono per restare all’oscuro. Per esempio, le donne che si mettono eleganti per andare al night, mi dici perchè si vestono? Al buio nessuno le vede, potrebbero andarci in mutande e sarebbe la stessa cosa“.

«La sera dopo mi telefonò per chiedermi di andare a casa sua, voleva parlare ancora del progetto del film su Madama Letizia. Andai e mi stupì parlandomi a lungo del personaggio, dell’ambiente in cui era vissuto, della storia dei Bonaparte a Roma. Probabilmente s’era documentata, ma non avrebbe potuto farlo così rapidamente se non avesse avuto una sua cultura.

Leggeva e amava i libri, li conservava con cura, anche se non possedeva una biblioteca immensa. Le regalai una volta un libro su palazzo Altieri, dove abitava dagli anni del dopoguerra, e la vidi felice. Sull’argomento era già documentatissima, ma si divertì ad ascoltare alcuni aneddoti che le raccontai: per esempio quello della vecchietta che aveva una casa piccolissima proprio nel luogo dove Papa Altieri, cioè Clemente X, volle che i nipoti costruissero la dimora di famiglia. La donna rifiutò di sloggiare e la famiglia del Papa dovette costruire intorno alla sua casetta.

La Magnani era avidissima di notizie storiche, mi costringeva spesso a far l’alba girando per le strade di Roma e illustrandone facciate, monumenti, obelischi eccetera.

E c’è un’altra leggenda da sfatare, quella della Magnani sempre pronta alla parolaccia. Non era donna capace di far complimenti, parlava con franchezza estrema: ma parolacce non ne diceva.

«I suoi amori» prosegue lo scrittore «sono stati intensi e a volte drammatici, ma uno solo è stato per lei positivo, quello da cui nacque il figlio.

Anna non ha amato Luca come una mamma, lo ha amato come una tigre: e sono certo che il suo maggior dolore lo provò la sera che Luca si ammalò. Anna recitava in teatro a Roma: proprio durante lo spettacolo arrivò qualcuno da casa sua a dirle che il bambino aveva la febbre alta e stava molto male. La Magnani finì di recitare, non tradì assolutamente l’emozione che l’aveva presa; ma il sipario stava ancora calando e lei già correva verso casa.

«Fu la stessa Anna a intuire la diagnosi che poi i medici confermarono: prese in braccio il bambino e si accorse che le gambette erano rigide, il movimento era bloccato. Luca è stato curato nel più affettuoso e giusto dei modi: oggi è un architetto pieno di lavoro.

Quando era bambino, io e la madre facemmo un viaggio a Parigi, dovevamo discutere di un film che non fu poi girato per tutta una serie di imprevisti. Ero nel mio scompartimento del vagone letto quando la sentii picchiare con i pugni sulla porta. Passavamo per la Svizzera e in Svizzera c’era suo figlio, “Che posso fa?”, mi domandò sconvolta “mi butto dal treno?“».

Impulsiva, emozionabile, piena di slanci, la Magnani sapeva scherzare sulle sventure proprie, mai su quelle degli altri. «Si sentiva male già da qualche mese e una sera, all’improvviso, decise di farsi fare delle radiografie», dice ancora Fabrizio Sarazani.

«Chiese a quel suo amico di cui ho parlato prima, Gigetto, di accompagnarla. Gigetto andò a prenderla con una vecchia “Cinquecento” e la portò dal radiologo.

«”Mi hanno sempre fotografata di fuori“, disse Anna “stavolta mi faccio fotografa’ pure di dentro“.

Rimase nello studio del radiologo dalle otto alle dodici e mezzo. Uscì dicendo: “Ahò, mi hanno girato un film, altro che fotografie. Un film dal di dentro“. Poco dopo, dovette entrare in clinica. Per capire la natura della malattia che aveva, chiese alla segretaria di portarle un volume dell’enciclopedia medica che aveva in biblioteca».

Era una donna generosa ma aveva il pudore dei propri sentimenti: tutti quelli che l’anno frequentata sono in grado di descrivere le sue passeggiate notturne davanti al teatro Argentina, dove distribuiva polmone e “coratella” ai gatti randagi che pullulano nella zona; o di piccole o grandi somme mandate a gente che sapeva infelice, la sola condizione era che non se ne sapesse l’origine.

«Una sera», dice ancora Sarazani «uscimmo per andare a teatro o non so dove. Mi riaccompagnò a casa con la sua utilitaria; sul Lungotevere si fermò di colpo, aveva visto una giovane peripatetica che tremava dal freddo, cominciava a piovere. La ragazza la riconobbe, Anna le chiese se avesse freddo. “Io devo sentir freddo”, rispose l’altra. La Magnani prese alcuni biglietti da diecimila lire che aveva nella borsetta e glieli consegnò, dicendo: “Vattene a letto da sola, stasera“. E si rivolse a me: “Ammazza, quanto fa freddo nella vita…” ».

P. Palumbo