La Carrozza d’oro, il primo film italiano in technicolor sarà una sfida alla roccaforte di Hollywood

Intendiamoci, quando si dice film a colori – e di quali colori è inutile precisare – tutti pensano, dopo averne visti e apprezzati molti, che quanto hanno gustato sullo schermo, in fatto di toni e sfumature, sia la traduzione visiva di ciò che la macchina da pesa ha captato: ma non è così. Il colore del film non è quello vero della scena, ma quello che vedete è sempre una interpretazione del colore reale.

Claude Renoir che è operatore specialista di technicolor, afferma addirittura che una riproduzione del colore naturale non esisterà mai. Esiste invece nella mente di chi appresta un film a colori, la visione esatta di quanto lo spettatore dovrà vedere, in quel tono, in quel modo, per quell’ambiente.

Con le parole del tecnico si potrebbe cercare di chiarirvi come nasce una pellicola a colori, ma non capireste gran che e non vale quindi la pena di sciupare le belle impressioni che finora avete riportate di film del genere con ingarbugliate descrizioni valide soltanto per iniziati e per appassionati. Accontentiamoci di ammirare sullo sfondo quanto ci piace e lasciamo ai competenti di svolgere con passione, e soprattutto con arte, il loro compito.

Qui è necessario, anzi doveroso, dire subito che il primo film a colori girato in Italia è La Carrozza d’oro, diretto da Jean Renoir. Il titolo basta per dare visioni rutilanti e splendide.

Per chi conosce la trama, desunta dalla commedia di Merimée e dal titolo originario de La Carrozza del Santissimo Sacramento, non riuscirà difficile pensare alla varietà delle fogge e dei colori offerti dagli attori che impersonano Arlecchino, Pulcinella, Capitan Fracassa e Tartaglia, Colombina e Pantalone; una corte spagnola del XVIII secolo; l’incantato e incantevole paesaggio di una colonia, elementi tutti di vivacità, di colore, dai toni accesi.

Carrozza d'oro Technicolor - Anna Magnani Jean Renoir

Bene, il primo film italiano in technicolor è nato portando sulla scena tutti questi elementi saldamente inquadrati e controllati da un regista di fama mondiale come Jean Renoir. Egli definisce il suo lavoro “un’allegoria”, per illustrare la quale gli sono sembrati necessari acquarelli dai toni puri; questo per il colore.

Per il lavoro vero e proprio, Renoir non poteva certo tradurre tale e quale la commedia di Merimée in un racconto cinematografico, ma dalla commedia famosa ha tratto lo spunto per il cinema.

Renoir dice d’aver fatto una composizione. Però se per Merimée la Perichole è un’attrice, non vi è dubbio che nel film lo sia anche Camilla, interpretata dalla Magnani, e La Carrozza d’oro resterà nel film, come nella commedia, il simbolo della vanità degli uomini.

«In sostanza – afferma Renoir – si può dire che il film, oltre al titolo per il quale è ormai noto, potrebbe anche chiamarsi, mettiamo: “La commedia, il teatro e la vita” ».

L’opera in sé e per sé resta intatta nella sua struttura e nella sua efficacia. Sarà, e bisogna dirlo, un film italiano nel senso che avrà una particolare tonalità nostrana, un’ambientazione mediterranea, sentita e voluta da Renoir.

Ed eccoci ad Anna Magnani che interpreta la storia di un’attrice. Chi più attrice di Anna Magnani dalle sofferte esperienze?

“Annarella nostra”, come dicono a Roma, ha recitato Maja e Anna Christie, ha fatto del varietà, ha interpretato sullo schermo i ruoli più naturali e meno studiati, essa è quindi non soltanto un personaggio che si sfrutta – così dice Renoir – ma un’attrice che può recitare un ruolo e identificarsi in un personaggio; le si può attribuire la qualifica di commediante, e non vi è dubbio, che nella Carrozza d’oro la Magnani simbolizza tutti gli altri commedianti sparsi nel vasto mondo. E li simbolizza da par suo, con arte ed amore ammirevoli.

Per immaginare quanto impegno richieda la lavorazione scrupolosa del film in technicolor, basterà sapere che alla realizzazione de La carrozza d’oro, oltre agli attori, erano addette, tra tecnici cinematografici veri e propri, scenografi, costumisti, truccatori, parrucchieri, sarte, montatori, elettricisti, ben 72 persone ed omettiamo il regista, gli aiuti, i compositori, i direttori d’orchestra, gli orchestrali, ecc.

Bisogna ammettere che si è fatto uno sforzo esemplare, magnifico, per dare alla produzione italiana un dirizzone decisivo, che la orienti verso una forma d’arte fuori dalla rotta consueta del basso commercialismo e della speculazione.

Carrozza d'oro Technicolor - Francesco Alliata

E qui è necessario dare atto che artefice primo di questo tentativo di rinascita è un giovane di alta casata siciliana, il principe Francesco Alliata, un uomo che, in fatto di cinema, sa decisamente quello che vuole e punta diritto allo scopo senza farsi fuorviare. Egli, infatti, vuole affrontare il mercato internazionale lanciando una sfida alla roccaforte di Hollywood e imporre la sua produzione scelta che soltanto sul mercato interno non potrebbe trovare il necessario sostentamento finanziario.

Renoir dice che Alliata ha superato coraggiosamente molte difficoltà, si è circondato si un ottimo stato maggiore e, sicuro di quanto voleva, ha dato fuoco alle polveri: così è quasi ultimata La Carrozza d’oro, mentre altri film in technicolor sono allo studio.

Lo scopo, certo ambizioso, ma ammirevole, è quello di imporre all’estero il cinema italiano e di renderlo sempre più un’industria che fa sentire anche il peso dei suoi mezzi e non soltanto quello saltuario della sua già tanto ammirata genialità.

P. Pressenda


Breve estratto del film “La Carrozza d’oro”.