Un gruppo di giovani, capeggiato da Renzo Avanzo, s’era in questi ultimi anni talmente invaghito delle isole Eolie, della caccia sottomarina e del cinema, da battezzare con il nome di un’Isola, Panaria, una loro piccola e intelligente casa editrice di documentari; e i primi saggi della «Panaria Film» furono naturalmente dedicati ad ardite riprese subacquee, nelle rade e negli stretti dell’arcipelago.
Renzo Avanzo è cugino di Rossellini. Il celebre artista dà un’occhiata a quei filmetti; è colpito dalla selvaggia e per lui inedita bellezza di quelle Isole e lo assale la tentazione di inquadrarvi un suo film. Si reca a Vulcano, si reca a Stromboli, un nucleo di vicenda comincia a delinearsi, e dopo l’incontro di Rossellini con la Bergman, se ne annuncia il loro film, Stromboli.
L’Avanzo si è nel frattempo accinto a definire un suo soggetto, pure ambientato in una di quelle isole, da lui per primo cinematograficamente intuite.
Scoppia il cosiddetto scandalo Bergman. L’Avanzo si reca a Hollywood. Il suo soggetto piace, si potrebbe anche prestare a un enorme diversivo pubblicitario; ma perchè questo diversivo riesca al massimo, Vulcano dovrebbe avere per protagonista Anna Magnani.
La Magnani firma il contratto; si firma la convenzione definitiva “Artisti Associati – Panaria”, e comincia allora quel singolare duello di produzione che vede al lavoro due troupes, contemporaneamente e a pochi chilometri di distanza.
L’una a Stromboli, l’altra a Vulcano; di là la Bergman, di qua la Magnani; di là Rossellini, di qua Dieterle; di là un certo indugiarsi del quotidiano lavoro, di qua una volontà e una disciplina di ferro che non danno tregua a nessuno, anticipando più di una data, e portando alla conclusione per primo il film iniziatosi come secondo.
Merito, questo, di Dieterle, un abile e tenace artigiano giunto alle affermazioni del Pasteur, dello Zola, di Lettere d’amore; merito della Magnani, prodigatasi con infaticabile fervore; e dell’Avanzo, conoscitore ottimo dei luoghi, bene attrezzato per riprese subacquee, e in quelle riprese, con Fosco Maraini, esperto e audace.
E’ questa la triade alla quale si deve Vulcano: un film molto atteso, per motivi che soltanto in parte possono e potranno essere artistici.
Ma è tempo di lasciare questa singolare guerra di dame, di registi e di film per venire a quanto lo schermo oggi effettivamente ci offre.
L’inizio di Vulcano è quasi impeccabile. Con ampie e lente panoramiche lo sguardo indugia sulle Eolie, s’avvicina a una di esse, e con un motopeschereccio che fa da postale s’attracca a poche assi sdrucite, sulle quali scenderanno i pochi passeggeri attesi dagli abitanti del villaggio scesi dalla piccola rada.
Ma quando, sul rozzo pontile appare Maddalena, tutti le volgono le spalle.
E’ una prostituta. Ha lasciato, anni prima, la sua piccola isola e ora vi ritorna, costrettavi da un foglio di via della polizia. Non può fare altro che salire l’erta desolata, verso quella che fu la sua casa.
Questo inizio, ripeto, potrebbe essere il preludio a un grande film; anche perchè questa prima apparizione della Magnani è scabra e macerata, subito annuncia un destino greve di tristezza e di dolore.
Invece, questo inizio, è il preludio a un grosso, abile film, parecchio congegnato, ben recitato, ma del quale è quasi sempre assente quel brivido di drammatica poesia che avrebbe dovuto trasfigurare la disperata vicenda di Maddalena, che giungerà poi al delitto pur di salvare la sorella minore dalla sorte abbietta che già fu ed è la sua.
Dieterle s’è incontrato con un ambiente, con tutto un mondo, più che singolare: quello di queste isole vulcaniche.
Data la rapidità aggressiva con la quale l’ha affrontato, bisogna riconoscere che ne ha sentito e quasi compreso fin troppo, ma non quanto sarebbe stato necessario per creare una sua opera d’arte.
Tipi, scorci, luci sarebbero del nostro cosiddetto neo-realismo, direi del nostro neo-realismo più spinto; e ne è venuto un neo-realismo edulcorato, tutt’al più meticcio, o, se lo preferite, di esportazione.
Il film ha comunque una sua forza, vibra per quell’ottima attrice che è la Magnani, trova altri validi accenti in Geraldine Brooks, ma sul film quasi sempre si stende una patina un po’ risaputa, un po’ d’artificio.
Questa, per Dieterle, poteva essere un’avventura paragonabile a quella di Flaberty alle prese con l’isolotto e i pescatori d’Aran, ma il risultato è quello che è.
Un film qua e là avvincente, a tratti ben cadenzato, con alcuni episodi notevoli, con parecchi squilibri di sceneggiatura, con qualche tratto gustoso; ma è il film che il regista Dieterle, con pari impegno e bravura, avrebbe potuto trarre, se comandatovi, tanto dai mari del nord come da quelli del sud.
E noi, di fronte a certi ambienti tipicamente nostrani siamo per forza di cose diffidenti, difficili. Non ci mancherebbe altro, che i film italiani venissero in quattro e quattr’otto a farseli in Italia, i registi di Hollywood e dintorni.
M. G.